Se c’è una cosa che l’accordo sul nucleare iraniano è riuscito a fare e che nessuno mai poteva minimamente immaginare è l’avvicinamento strategico tra Israele e Arabia Saudita, non un avvicinamento segreto come spesso è avvenuto in passato, ma palese, quasi ufficiale con tanto di stampa araba pronta a parlarne liberamente e senza tabù.
Sia Israele che Arabia Saudita considerano infatti l’Iran molto più pericoloso dello Stato Islamico, lo ha ribadito nei giorni scorsi anche Netanyahu durante la sua visita in Italia. L’espansionismo iraniano, rafforzato incredibilmente dalla folle politica di Obama, viene considerato da Gerusalemme e Riad una vera e propria minaccia esistenziale da combattere con ogni mezzo anche a costo di mettersi alle spalle decenni di odio reciproco e di fare qualche accordo “scomodo” con gruppi giudicati terroristi.
Colloqui segreti in Giordania
Da diverse settimane emissari di Israele e Arabia Saudita si stanno incontrando in Giordania, che insieme all’Egitto intrattiene con Gerusalemme regolari rapporti diplomatici ed è senza dubbio il luogo più adatto per avvicinare i due ex nemici giurati. Le trattative sono complesse e riguardano un ventaglio molto ampio di “capitoli” da trattare, a partire dalla controversa situazione di Gaza che Arabia Saudita e Israele considerano più importante della cosiddetta “questione palestinese”, anche se per ragioni diverse. Israele è consapevole che non è facile combattere su due fronti quindi, considerando che che il fronte nord è quello che desta maggiori preoccupazioni, deve risolvere in maniera pacifica il problema del fronte con Gaza. L’Arabia Saudita invece ha bisogno di dare alla sua opinione pubblica qualcosa che gli consenta di digerire una alleanza strategica con l’odiato nemico sionista e quel qualcosa non può essere la “Palestina” che ormai ha stancato anche gli arabi, ma Gaza che dopo un anno dalla fine della guerra è ancora in condizioni disastrose e colpisce in modo particolare i sentimenti del popolo arabo. Ma il quadro all’interno della Striscia di Gaza non è affatto eterogeneo. Ci sono diversi gruppi terroristici a partire dalla Jihad Islamica legata all’Iran. E poi ci sono le divisioni interne ad Hamas dove da un lato vi è l’ala dura rappresentata dalle Brigate Izz al-Din al-Qassam che non vuole nessuna trattativa con Israele e vorrebbe continuare il conflitto mentre dall’altro vi è l’ala politica che invece è più propensa alla trattativa in cambio di specifici benefici. Per questo Re Salman dell’Arabia Saudita ha invitato i vertici di Hamas a Riad, per convincerli ad accettare un piano di pace a lungo termine con Israele in cambio di importanti concessioni, a partire da un porto commerciale e da una enorme infusione di denaro da parte della stessa Arabia Saudita. In cambio Hamas non dovrebbe solo impegnarsi a non attaccare Israele ma dovrebbe “bonificare” la Striscia dalla presenza degli altri gruppi terroristici, a partire proprio dalla Jihad Islamica che è una emanazione del regime iraniano. Se il piano riuscisse Israele potrebbe concentrarsi sul fronte nord dove i pasdaran iraniani ed Hezbollah rappresentano un pericolo ben maggiore di quello rappresentato da Hamas.
Il piano israelo-saudita
Sfumata la possibilità di bloccare il programma nucleare iraniano con un bombardamento delle centrali atomiche iraniane, la priorità diventa quella di bloccare il posizionamento iraniano nel cuore del Medio Oriente e per farlo non c’è alternativa a una intromissione nel conflitto in Siria. Nei giorni scorsi abbiamo reso conto di un piano israeliano per un intervento preventivo nel Golan, ma quello sarebbe solo una parte della strategia israelo-saudita per contrastare l’espansionismo iraniano. L’Arabia Saudita avrebbe il compito di individuare, finanziare ed armare i ribelli siriani non legati allo Stato Islamico. Ma anche in questo caso la faccenda si fa complessa perché il primo gruppo che viene in mente è quello di Al-Nusra, non propriamente degli stinchi di santo, ma al momento l’unica alternativa all’ISIS visto che il Free Syrian Army è decisamente in rotta. Il piano originario di Re Salman prevedeva un massiccio appoggio al Free Syrian Army in accordo con gli Stati Uniti che avrebbero dovuto addestrare gli insorti siriani. Ma l’addestramento americano si è rivelato un fallimento e dopo le prime sconfitte molti ribelli siriani sono confluiti, con tanto di equipaggiamento americano, in parte in Al-Nusra e in parte nell’ISIS. Ora si tratta di “moderare” i ribelli di Al-Nusra e di rinforzarli, un piano molto rischioso e che non piace molto all’occidente, ma volto prettamente a contrastare Hezbollah e i pasdaran iraniani. Nel mese di maggio il leader di Al-Nusra, Abu Muhammad al-Jawlani, ha rilasciato una rara intervista nella quale spiegava i suoi piani ed elencava le differenze tra il suo gruppo e lo Stato Islamico, prima fra tutti la volontà di rispettare le minoranze religiose in Siria (sebbene con precise regole). Re Salman d’Arabia Saudita si sarebbe impegnato (insieme al Qatar?) a regolare ulteriormente Al-Nusra che in questo momento sta duramente combattendo contro Hezbollah e pasdaran iraniani in Siria. E’ una soluzione “scomoda” ma pragmatica in configurazione anti-iraniana.
Il punto
Fino ad ora abbiamo riportato quello di cui siamo venuti a conoscenza, ma qual’è il punto della questione? Il punto è che sia Israele che Arabia Saudita considerano la minaccia iraniana ben più pericolosa di quella rappresentata da Hamas, ISIS e Al-Nusra e quindi ragionano in maniera pragmatica scegliendo la strada del “male minore”. Israele non può iniziare un conflitto a nord con Hezbollah, giudicato da quasi tutti come inevitabile, senza prima essersi tutelato al sud. Per farlo ha bisogno dell’Arabia Saudita e di fare qualche concessione scomoda ad Hamas. Dal canto suo l’Arabia Saudita, che in guerra con l’Iran c’è già (in Yemen, anche se non è una guerra dichiarata), non può contrastare l’espansionismo iraniano in Medio Oriente senza l’aiuto di Israele. Partendo da questo principio possiamo leggere in maniera migliore il posizionamento dei vari tasselli nella complicatissima politica mediorientale, tasselli che non riguardano solo la Siria ma anche la Giordania, l’Egitto e l’Iraq (ne parleremo in altra occasione). Certo, c’è da mettere in conto il grosso problema rappresentato dal radicalismo islamico dei vari gruppi che compongono la galassia jihadista, ma andando per priorità ora il problema e l’Iran enormemente rafforzato dall’accordo sul nucleare iraniano e siccome i problemi vanno affrontati uno alla volta la scelta israeliana e saudita sembra quella (al momento) più ragionevole. C’è una cosa in tutta questa delicata questione che però non ci è sfuggita, l’esclusione da tutti i giochi della “Palestina” e della ANP di Abu Mazen che non ha caso cerca un avvicinamento all’Iran. Gli arabi si sono resi conto del peso rappresentato dalla “questione palestinese” e ne prendono atto facendosi finalmente pragmatici proprio mentre l’Iran torna a far sentire la propria voce sulla “Palestina” ben sapendo che così facendo otterrà l’appoggio di ogni odiatore sulla Terra.
Scritto da Maurizia De Groot Vos