Lo scorso 3 novembre Amnesty International ha pubblicato un rapporto di 60 pagine nel quale sostanzialmente accusa l’Italia di abusi sui migranti, di espellerli in maniera illegale e addirittura di tremende torture ai danni di alcuni di loro.

Com’era logico il rapporto ha scatenato l’indignata reazione delle autorità italiane e in particolare del Prefetto Marcone che alla Camera ha definito il rapporto di Amnesty «una cretinata» mentre alcuni ventilano l’ipotesi che il Governo denunci per diffamazione l’associazione ex Premio Nobel per la Pace.

Al di la del contenuto del rapporto, che come tutti i rapporti di Amnesty vengono presi per buoni solo perché “lo dicono loro” ma che in realtà non producono quasi mai una sola prova di quello che affermano, quello che appare evidente è la confusione che fanno i cosiddetti “grandi difensori dei Diritti Umani” tra Diritti e Doveri dei migranti o richiedenti asilo che dir si voglia. Per esempio, i migranti hanno il dovere di farsi identificare e questo è un dovere non negoziabile se vogliono entrare nell’Unione Europea, un dovere che vale per chiunque non solo per i migranti, compresi i cittadini europei. Il fatto che alcuni migranti si rifiutino di farsi identificare attraverso le impronte digitali e la foto-segnalazione equivale a commettere un reato esattamente come se a farlo fosse un cittadino europeo. Provate ad andare in giro in qualsiasi paese europeo e a rifiutarvi di farvi identificare per vedere cosa vi succede. Se questa norma vale per i cittadini europei tanto più deve valere per chi arriva da un Paese fuori dalla UE. Questo chiaramente non giustifica alcuna violenza nei confronti di chi rifiuta l’identificazione ma chiaramente nessuno può pretendere che li si lasci liberi di girare per l’Europa senza problemi. E comunque una azione di identificazione coatta è ampiamente giustificata. Amnesty scrive:

sotto le pressioni dei governi e delle istituzioni dell’Unione europea, l’Italia ha adottato misure coercitive per prendere le impronte digitali

in realtà non ci sarebbe bisogno di alcuna pressione delle autorità europee perché l’identificazione di chi si introduce clandestinamente in Europa, sia esso un migrante economico che un richiedente asilo, è un obbligo oltre che una elementare misura di sicurezza in tempi in cui il terrorismo islamico potrebbe approfittare del grande flusso di migranti per infiltrare terroristi in Europa. Qualcuno dovrebbe spiegare ad Amnesty che non esiste il Diritto a non essere identificati ma che al contrario esiste un dovere di identificazione che vale in qualsiasi parte del mondo e per ogni persona che voglia circolare liberamente nel paese in cui arriva. Un dovere che vale ancora di più per i richiedenti asilo visto che in caso di riconoscimento della protezione internazionale si ha accesso a particolari benefici. Pretendere di rilevare le impronte digitali non è quindi un atto coercitivo come vuol fare intendere Amnesty International, ma oltre a essere una elementare misura di sicurezza è un vero e proprio obbligo da parte delle istituzioni, sia di quelle italiane che di quelle di qualsiasi altra parte del mondo. L’Unione Europea non c’entra quindi nulla in tutto questo ed è francamente desolante che un ricercatore della più grande organizzazione per la difesa dei Diritti non sappia queste poche ed elementari regole.

Poi Amnesty passa ad attaccare il sistema dei rimpatri accusando ancora una volta l’Unione Europea di “costringere” l’Italia ad “aumentare il numero dei migranti rinviati nei paesi d’origine”:

sotto le pressioni dell’Unione europea, l’Italia sta cercando di aumentare il numero dei migranti rinviati nei paesi di origine, anche negoziando accordi di riammissione con paesi le cui autorità hanno commesso terribili atrocità

Qui il discorso è un tantino più complesso di come lo semplifica Amnesty. Prima di tutto nella mentalità di Amnesty nessuno dovrebbe essere respinto se proviene da un paese non pienamente democratico, il che è un pensiero nobile ma che si scontra con la realtà dei fatti e per questo semplicemente irrealizzabile. La quasi totalità dei migranti arriva infatti dall’Africa dove in pratica non esiste un paese totalmente democratico e quindi usando i parametri di Amnesty nessuno dovrebbe essere respinto e il Governo italiano non dovrebbe fare accordi di rimpatrio con nessuno. Il ricercatore di Amnesty autore del rapporto molto furbescamente porta l’esempio dell’accordo tra Italia e Sudan, furbescamente perché il Sudan (oltre all’Eritrea) è uno di quei paesi con i quali sarebbe bene avere molta accortezza nei rimpatri a causa della feroce dittatura che lo attanaglia. Ma un conto è avere accortezza e un altro è accogliere a occhi chiusi chiunque arrivi dal Sudan. Per esempio il dittatore eritreo, Isaias Afewerki, con questo stratagemma si è liberato della peggior feccia badando bene però di tenere nelle patrie galere i veri oppositori del regime e liberando tutti gli altri. Il risultato è stato che in Europa sono state approvate migliaia di richieste d’asilo ad eritrei che in realtà non erano affatto oppositori politici del regime e per questo perseguitati, ma erano semplici delinquenti comuni “invitati” ad andarsene dall’Eritrea. I veri oppositori del regime di Isaias Afewerki sono ancora tutti nelle patrie galere eritree (e forse Amnesty farebbe bene a preoccuparsi di loro). Rimane il fatto che non è materialmente possibile accogliere ogni africano per cui gli accordi di rimpatrio sono necessari anche se sarebbe una buona idea vigilare attentamente su chi c’è dall’altra parte. Ma da qui a dire che i rimpatri violano il Diritto Internazionale ce ne corre.

Per inciso, Amnesty fa i suoi interessi e di certo questo rapporto non differisce da altri rapporti piuttosto dubbi di cui abbiamo parlato molte altre volte (qui ne troverete di ogni tipo), tuttavia ci sembra francamente che in questo caso in cui si attacca proditoriamente l’Italia l’ex Premio Nobel per la pace abbia passato il segno e onestamente ci sfuggono i motivi che hanno spinto Amnesty a farlo. Rimane il fatto la “questione immigrazione” è per l’Italia un grosso problema che si va ad aggiungere a quelli già noti e impellenti che attanagliano il nostro Paese. E di certo le chiacchiere da bar non aiutano a risolverli né tanto meno aiuta un rapporto senza alcun riscontro tangibile che mira solo a dividere ancora di più l’opinione pubblica su un problema che onestamente è sempre più sentito a tutti i livelli.

Scritto da Claudia Colombo