Hamas è alle strette. Il Qatar ha “chiesto” ai leader del gruppo terrorista palestinese di lasciare il Paese e già da diverso tempo tutta la leadership di Hamas si è trasferita in massa a Gaza. Sotto attacco da parte dei media arabi e in aperta rotta di collisione con la Autorità Nazionale Palestinese che ha tagliato i fondi per la fornitura di energia elettrica e per gli stipendi ai terroristi, Hamas si ritrova a dover decidere del suo futuro e a scegliere tra la trasformazione in gruppo politico con la rinuncia alla lotta armata o, al contrario, accellerare sulla strada della Jihad contro Israele.
La situazione a Gaza è sempre più drammatica e ormai solo gli antisemiti (ben sostenuti da una certa “stampa”) accusano il blocco di sicurezza israeliano della gravissima crisi umanitaria che attanaglia la Striscia, una accusa che ormai non fanno più nemmeno i Paesi arabi ben consci di chi sia la colpa della situazione.
E’ un Hamas decisamente isolato quello che si appresta ad affrontare la calda estate mediorientale e per questo ancora più pericoloso. Non sono pochi infatti gli analisti israeliani che prevedono nei prossimi giorni un innalzamento della tensione lungo il confine con Gaza. Storicamente ogni volta che Hamas si è trovato in difficoltà ha intensificato i suoi attacchi a Israele per provocarne la reazione ben conscio che a ogni reazione israeliana il mondo avrebbe reagito in maniera indignata. Mai come ora Hamas ha bisogno del sostegno esterno della grande galassia che si nutre di antisemitismo e odio vero Israele e visto che il sostegno arabo gli è venuto a mancare in maniera devastante l’unica arma che gli rimane è quella della provocazione al fine di scatenare una qualche reazione israeliana.
Il piano politico e il piano militare
Sul lato politico, dopo la rottura con il Qatar, Hamas sta cercando velocemente ma con poco successo di ricollocarsi all’interno del mondo arabo. La scorsa settimana importanti membri della direzione del gruppo terrorista si sono recati al Cairo per cercare di trovare un compromesso con l’Egitto che però sostiene apertamente la ANP. Gaza necessita urgentemente di aiuti umanitari ma l’Egitto continua a mantenere sigillate le frontiere con la Striscia di Gaza senza permettere alcun passaggio di uomini e merci. Niente più aiuto nemmeno dalla Giordania che almeno a livello diplomatico aveva sempre cercato di fare da paciere tra Hamas e la ANP. L’unica alternativa disponibile è quella che porta a Teheran. L’Iran ha già fatto sapere di essere più che disponibile ad aiutare i terroristi palestinesi ma c’è il problema di fargli arrivare armi e denaro. Il blocco di sicurezza israelo-egiziano non lascia passare un capello e l’unico fronte debole attraverso il quale potrebbero passare aiuti ad Hamas è quello del Sinai che però è in mano ai miliziani legati allo Stato Islamico, non proprio disposti a collaborare con Teheran. In questo scenario sono i falchi di Hamas a premere per una operazione militare contro Israele che, secondo loro, potrebbe ricompattare il fronte arabo attorno a Gaza. Ad Hamas servono un po’ di morti civili da mettere sul piatto della indignazione antisemita. E quale miglior modo di una provocazione a suon di missili?
Ieri intanto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è parlato della situazione di Gaza. L’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, Nikki Haley, ha fatto un intervento durissimo accusando Hamas di essere l’unico responsabile della crisi umanitaria di Gaza. La Haley ha ricordato che proprio di recente l’Onu ha scoperto che i terroristi palestinesi avevano costruito alcuni tunnel del terrore sotto scuole e ospedali e che invece di destinare fondi alla crisi umanitaria Hamas continuava a preparare l’ennesimo conflitto con Israele.
Ieri sera un esperto israeliano di intelligence ci diceva che «più la crisi di Hamas e di Gaza peggiora, più il rischio di un attacco a Israele cresce». Hamas bada bene a non far mancare nulla ai suoi miliziani anche a costo di affamare la popolazione di Gaza, questo perché non ha mai abbandonato l’idea di un conflitto con lo Stato Ebraico, magari abbinato a una situazione di crisi nel nord di Israele che potrebbe essere scatenata da Hezbollah. Ma i terroristi non possono più aspettare i comodi di Hezbollah, per altro impegnato pesantemente in Siria. L’intelligence israeliana teme che i terroristi palestinesi vogliano accelerare rischiando il tutto per tutto e sperando di tirarsi dietro quel consenso che adesso non hanno. «Ogni volta che Hamas si è trovato in situazioni di grave difficoltà ha scatenato un conflitto con Israele al quale è seguito un enorme afflusso di denaro verso la Striscia» ci dice l’esperto di intelligence. «Non vedo perché questa volta debba essere diverso» ha poi concluso.