Hamas, il gruppo terrorista palestinese che dal 2007 tiene in ostaggio la Striscia di Gaza, sta attraversando uno dei momenti più brutti della sua fin troppo lunga storia. Isolato, abbandonato dal mondo arabo, senza soldi e senza armi, costretto alla difensiva sul piano interno e minacciato sul piano esterno da quelli che una volta erano suoi alleati come l’Egitto e l’Arabia Saudita. Gli unici amici che gli rimangono sono gli Ayatollah iraniani e solo in parte il Qatar e la Turchia che però si stanno lentamente smarcando.
La chiave di svolta è stata la manifesta ostilità del mondo arabo verso la Fratellanza Musulmana alla quel Hamas appartiene ideologicamente e strategicamente. La storica decisione con la quale i Paesi arabi del Golfo, l’Egitto e recentemente la Giordania hanno messo fuori legge la Fratellanza Musulmana ha letteralmente tolto la terra da sotto i piedi di Hamas. Gli unici che ancora resistono nel dare assistenza ai terroristi palestinesi che tengono in ostaggio la Striscia di Gaza sono i turchi, che però stanno trattando un riavvicinamento strategico a Israele, e soprattutto gli iraniani che vedono in Hamas un alleato regionale fondamentale contro Israele ma hanno poche possibilità di rifornirlo di armi e denaro visto che Hamas è letteralmente isolato da Egitto e Israele. Paradossalmente gli unici finanziatori “ufficiali” del terrorismo di Hamas rimangono gli europei e le tante ONG che ruotano e vivono attorno al conflitto israelo-palestinese. Ma a parte i consistenti aiuti in denaro, che finiscono sistematicamente nelle tasche dei boss di Hamas e non nel sollievo della popolazione, questi attori non sono in grado di rifornire di armi i terroristi palestinesi. Il risultato è un fortissimo indebolimento del gruppo terrorista palestinese legato alla Fratellanza Musulmana.
La guerra interna
Questa inedita situazione ha creato un conflitto interno tra l’ala militare di Hamas, guidata da Mohammed Deif, e l’ala politica guidata da Khaled Meshaal, con il primo irriducibile che vorrebbe da subito un conflitto su larga scala con Israele ma non ha i mezzi per attuarlo e il secondo che invece è più propenso a trattare con il nemico per non sprofondare definitivamente nelle sabbie mobili in cui si è cacciato. Dietro sono in tanti a muovere le fila di questi due burattini, a partire dall’Iran che ha garantito appoggio finanziario e militare a Mohammed Deif mentre Turchia e Qatar stanno cercando di trovare una soluzione politica con Israele e con i Paesi arabi per salvare Khaled Meshaal e Hamas nella sua versione politica. Poi ci sono le sirene del ISIS che sembrano attirare moltissimo l’ala militare di Hamas ma che, a parte la componente radicale salafita, per il momento non sembrano attecchire più di tanto anche perché Mohammed Deif sa benissimo che allearsi con lo Stato Islamico significherebbe rinunciare all’alleanza con l’Iran. Di contro Khaled Meshaal attraverso la Turchia e il Qatar continua a trattare segretamente con Israele per alleviare la morsa che stringe la Striscia di Gaza e per questo non si può permettere che l’ala militare provochi tensioni con lo Stato Ebraico. Dall’esito di questo duello dipende la sopravvivenza di Hamas e probabilmente anche se ci sarà o meno una ennesima guerra a Gaza.
Israele non abbassa la guardia. Momento decisivo e critico
Se il quadro della situazione suggerisce un Hamas in forte difficoltà interna ed esterna, Israele non molla la presa e comunque non abbassa la guardia. Gli iraniani faranno di tutto per far giungere all’ala militare di Hamas armi e denaro e anche Hezbollah si sta muovendo per dare sostegno ai terroristi palestinesi non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania. Il momento è decisivo, forse anche il più pericoloso per un possibile tentativo da parte di Mohammed Deif di giocare il tutto per tutto e scatenare un conflitto con Israele al fine di rovinare i piani di Khaled Meshaal. In Israele il timore è quello di attentati eclatanti più che di un vero e proprio conflitto, attentati che però potrebbero scatenare una (doverosa) risposta militare israeliana. Adesso ogni mossa avventata potrebbe rovinare tutto il lavoro volto a demolire Hamas portato avanti fino ad oggi dal Premier Netanyahu, un lavoro forse troppo lento e certosino ma che sta finalmente dando i suoi frutti. Per la prima volta infatti Hamas è costretto sulla difensiva e si trova a un bivio, abbandonare l’intenzione di attaccare Israele e sopravvivere almeno politicamente oppure continuare sulla linea della ideologia genocida contenuta nel suo statuto e rischiare di essere distrutto definitivamente. Comunque vada a finire Hamas è finito… forse.
Scritto da Gabor H. Friedman