Dopo settimane durante le quali dai negoziati di Vienna sul nucleare iraniano emergeva solo pessimismo dovuto alla intransigenza di Teheran, da qualche giorno è scoppiato improvvisamente un diffuso quanto sospetto ottimismo.
Gli Stati Uniti parlano di «importanti passi avanti» mentre i francesi arrivano addirittura a sostenere di «essere fermamente convinti che un accordo si raggiungerà molto presto».
Dalla Corea del Sud arrivava in visita a Vienna persino vice ministro degli Esteri sudcoreano Choi Jong-kun. Cosa c’entra la Corea del Sud? Beh c’entra. Seul detiene congelati 7 miliardi di dollari in beni e denaro di proprietà degli Ayatollah che però non può liberare senza il consenso americano.
E appare piuttosto sospetto che Choi Jong-kun arrivi in visita a Vienna proprio nei giorni in cui si parla di «significativi passi avanti» nei colloqui.
Per non parlare poi del silenzio di tomba sceso sulla stampa intransigente iraniana legata al IRGC sui negoziati di Vienna, fino a pochi giorni fa attaccati ripetutamente.
Persino il Grande Ayatollah Ali Khamenei, notoriamente ostile a qualsiasi accordo e che ha l’ultima parola su tutto, in un discorso di domenica ha detto che «non ci arrenderemo alle pressioni del nemico, ma i negoziati e l’impegno con il nemico sono un’altra questione».
Perché tutto questo ottimismo appare fuori luogo
Il vecchio Andreotti diceva che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. E io sono uno che pensa parecchio male, specie quando di mezzo ci sono gli Ayatollah. Tutta questa improvvisa disponibilità iraniana, specie di due criminali come Khamenei e Raisi, uno la guida suprema e l’altro il boia di Teheran diventato Presidente, due che fino a ieri avrebbero fatto carte false per far saltare i negoziati di Vienna, la vedo parecchio sospetta.
Non vorrei che l’Amministrazione Biden, perennemente bisognosa di ossigeno elettorale, pur di portare a casa un risultato positivo da vendere prima delle elezioni di metà mandato, avesse promesso agli Ayatollah tutto (o quasi) quello che volevano.
Persino i servizi segreti israeliani ne sono così convinti tanto che ad inizio 2022 hanno dato subito l’allarme al Primo Ministro e al Ministro degli esteri sulla seria possibilità che a Vienna si raggiungesse un accordo. Il 3 gennaio, il ministro degli Esteri Yair Lapid ha detto ai giornalisti che i funzionari israeliani ora credevano che a breve a Vienna sarà raggiunto un accordo.
In ogni caso la storia ci insegna che qualsiasi accordo con Teheran non è mai un buon accordo per Israele. E siccome è proprio Israele che ha tutto da temere da un Iran nucleare, non è l’occidente che deve giudicare la bontà di un accordo con Teheran, ma è Gerusalemme.