Iran di nuovo sotto sanzioni e siamo solo al primo step. Il secondo, ben più importante, scatterà a novembre quando alle sanzioni entrate in vigore ieri si aggiungeranno quelle applicate ai prodotti petroliferi.
Molti esperti sostengono che la politica di Trump sia finalizzata a un cambio di regime in Iran, ma cosa significa veramente? E soprattutto, ci sono in Iran movimenti politici in grado di sostituire gli Ayatollah? Perché per cambio di regime in Iran non si può intendere solo l’abbattimento di Hassan Rouhani ma si dovrebbe intendere un cambiamento totale del sistema che governa il Paese, cioè l’abbattimento del sistema clericale e la sua sostituzione con un meccanismo democratico. Beh, lasciatemi dire che non è possibile. Al contrario, il rischio più che concreto è quello di vedere un ulteriore irrigidimento della teocrazia degli Ayatollah.
In primo luogo in Iran non esiste un vero movimento di opposizione, dove per movimento di opposizione si intende un qualcosa di organizzato. Le proteste che da settimane attraversano il Paese non sono proteste organizzate, non sono per esempio paragonabili a quelle organizzate dal Movimento Verde nel 2009. Allora dietro alle proteste c’era una idea, un movimento organizzato che aveva l’appoggio di buona parte del ceto medio iraniano. Oggi a protestare è il ceto povero e le proteste sono dettate dalla fame e dalla povertà e non da una idea politica o dalla richiesta di maggiori Diritti.
La differenza è sostanziale se si pensa veramente a un cambio di regime come obiettivo finale perché si rischia di ritrovarsi ad avere a che fare con situazioni simili a quelle che sono seguite alle cosiddette “primavere arabe”, cioè ingovernabilità, confusione, violenze e predominio delle forze islamiche più estremiste.
In secondo luogo c’è il fattore Pasdaran. I Guardiani delle Rivoluzione Islamica (Pasdaran) controllano praticamente tutto il Paese e la sua economia. Se è vero che la guida suprema, il grande Ayatollah Ali Khamenei, è quello che ha l’ultima parola su tutto, è altrettanto vero che la guida suprema non può fare a meno dei Pasdaran. L’abbattimento di Hassan Rouhani non porterebbe quindi a un cambio di regime, come in tanti sognano, ma porterebbe solamente ad un irrigidimento della dittatura teocratica. L’occasione di un cambio di regime in Iran l’abbiamo avuta nel 2009 quando avremmo dovuto supportare il Movimento Verde e invece lo abbiamo abbandonato al suo destino. Ora è troppo tardi.
Una belva messa all’angolo attacca
L’accordo sul nucleare iraniano voluto fortemente da Barack Obama e dall’Europa (ragion per cui si incolpa la Mogherini ma in realtà la vera artefice è stata Catherine Ashton) ha liberato la belva iraniana. Ieri il Ministro della Difesa Israeliano, Avidgor Lieberman, ricordava come l’Iran proprio grazie a quell’accordo spenda 2,5 miliardi di dollari l’anno per sostenere il terrorismo islamico di Hezbollah, Hamas, Jihad Islamica e di altri gruppi. Ora si vorrebbe rimettere in gabbia la belva iraniana usando semplicemente le pressioni economiche, un po’ come si è tentato di fare con la Corea del Nord.
Lasciatemi dire che è tutto sbagliato. L’Iran non è la Corea del Nord dove tutto il sistema è in mano a una sola persona ed è comunque un sistema economicamente fragilissimo. Per quanto assolutamente non democratico, il sistema iraniano è molto più complesso di quello nordcoreano e per quanto l’economia iraniana non vada affatto bene le sue possibilità di resistere sono enormemente maggiori di quelle nordcoreane. Mentre per Kim Jong-un riuscire a portare il Presidente Trump al tavolo delle trattative è stato un successo, per gli Ayatollah se Hassan Rouhani si incontrasse con Trump, magari per ridiscutere l’accordo sul nucleare iraniano, sarebbe una umiliazione insopportabile.
Una belva messa all’angolo non si lascia condurre pacificamente in gabbia ma attacca. Spero vivamente che il presidente Trump abbia messo in conto questa eventualità perché l’obiettivo degli Ayatollah sarà Israele. Non gli odiati sauditi, non quella parte di occidente che volente o nolente seguirà la politica di Trump, ma solo ed esclusivamente Israele.
So che in molti da ambo le parti non vedono l’ora che ciò accada, io no, la guerra deve essere l’ultima opzione. Preferirei invece che alle sanzioni economiche il Presidente Trump aggiunga una politica volta a formare una opposizione ordinata in Iran che possa essere funzionale a un cambio di regime, preferirei che avesse messo in conto un “piano B” che preveda un attacco a Israele e che sia pronto a mettere in campo le sue forze militari a fianco di quelle israeliane. Ma sinceramente non mi sembra che queste due opzioni siano contemplate nella politica dell’Amministrazione Trump che invece sembra più interessata ad abbandonare il Medio Oriente e a lasciare che i vari attori regionali se la vedano tra di loro.
Va bene quindi l’abbandono dell’accordo sul nucleare iraniano, vanno bene le sanzioni economiche all’Iran, ma poi? Qual’è la strategia di Trump (ammesso che ne abbia una) se la belva messa all’angolo dovesse attaccare?