Tutto sommato le risposte agli ultimi attacchi difensivi portati da Israele contro Gaza e contro il tentativo da parte di Hezbollah di dotarsi di armi avanzate non sono state degne di nota.
Hamas proprio non ha reagito all’attacco di risposta dopo l’ultimo lancio di missili su Israele mentre sia la Siria che Hezbollah non sono andati oltre al lancio di un missile e alle parole di condanna dopo i raid multipli di due notti fa sui cieli della Siria. Ma il fuoco cova sotto la cenere e se né Hamas né Hezbollah hanno reagito c’è un motivo ben preciso: non hanno ancora finito i preparativi per la guerra e per ora non sono pronti.
Hamas
Il gruppo terrorista palestinese che tiene in ostaggio la Striscia di Gaza sta lentamente cercando di uscire dall’isolamento in cui si è venuto a trovare. Non potendo più contare sull’aiuto dei Paesi arabi (fatta eccezione per il Qatar) la sua strategia di uscita si chiama Iran, uno dei pochi regimi disposto ad aiutare Hamas con ogni mezzo. Teheran ha (ri)preso il ruolo di primo sostenitore del terrorismo palestinese andando a sostituire l’Arabia Saudita, ma serve tempo per armare Hamas e per fargli giungere quei missili e quelle armi in grado di rappresentare una minaccia seria per Israele. Oltre a questo la ricostruzione della rete di tunnel del terrore procede più lentamente del previsto. Insomma, Hamas non è pronto per un nuovo conflitto con lo Stato Ebraico e quindi per il momento cerca di non alzare i toni dello scontro. Ma sono in tanti a ritenere che una ulteriore guerra sia inevitabile, specie dopo che alla guida di Hamas è stato nominato Yahya Sanwar.
Hezbollah
Il discorso cambia totalmente per Hezbollah che a un conflitto sarebbe pronto ma che al momento è impegnato in Siria. I terroristi libanesi per quanto forti e ben armati non possono reggere due fronti e quindi devono giocoforza aspettare che il loro disimpegno dal fronte siriano sia completato. Senza tanti clamori hanno già iniziato a riposizionarsi lasciando alcune zone sotto loro controllo in Siria ai militari iraniani e alla Brigata sciita di liberazione del Golan, un gruppo sciita iracheno che fa capo direttamente alla Forza Quds, l’elite dei pasdaran iraniani. Fino a quando questo riposizionamento non sarà completato gli Hezbollah non hanno alcun interesse ad alzare il livello di scontro con Israele.
L’Iran detta i tempi e le strategie
Ma è a Teheran che si decide tutto. L’Iran sta lavorando da mesi a una morsa a tenaglia su Israele. Hamas al sud, Hezbollah a nord e militari iraniani o gruppi legati ai pasdaran sul Golan. E’ in atto un evidente tentativo di accerchiamento allo Stato Ebraico che se dovesse andare a buon fine minaccerebbe seriamente la sicurezza di Israele. Le missioni preventive come quella vista ieri in Siria servono anche a non far chiudere il cerchio attorno allo Stato Ebraico, ma probabilmente non serviranno a fermare la corsa verso la guerra. Arriverà un momento in cui gli attacchi aerei non saranno più sufficienti e servirà un intervento di terra per rompere l’assedio iraniano. Tutto sta a vedere in che misura avverrà questo intervento, se cioè sarà massiccio oppure mirato a singoli obiettivi. E’ un epilogo che in Israele, salvo colpi di scena, tutti si aspettano. Come si usa dire, non si tratta di stabilire se ci sarà una guerra ma quando scoppierà.
Israele cerca di giocare d’anticipo
Gli attacchi preventivi israeliani sono solo la punta dell’iceberg. Lo scontro vero avviene sottotraccia, tra le intelligence israeliana e quella iraniana. Il Mossad e lo Shin Bet (il primo all’estero e il secondo in patria) hanno messo in campo tutta la loro esperienza per prevenire le mosse iraniane e impedire che l’accerchiamento arrivi a buon fine. Non è un caso che gli attacchi israeliani ai convogli in Siria siano di una precisione chirurgica e nei tempi giusti. Ma questo impressionante lavoro di prevenzione potrebbe non essere sufficiente a impedire che l’Iran e i suoi alleati portino a termine la loro mossa a tenaglia. E così in tanti a Gerusalemme stanno pensando di giocare in anticipo e risolvere la questione prima che la strategia iraniana arrivi a buon fine. Il problema sono però le possibili reazioni internazionali a una mossa preventiva di Israele, per questo da mesi la diplomazia israeliana è impegnata a preparare l’opinione pubblica mondiale all’eventualità che vi sia la necessità di una azione militare volta a fermare il conflitto prima che si arrivi a un punto di non ritorno. Questa è la vera sfida che lo Stato Ebraico deve saper vincere prima che la relativa calma attuale lasci il posto alla tempesta.
Se apprezzi il nostro lavoro valuta la possibilità di fare una piccola donazione a Rights Reporter