Israele: quando trattare con il nemico diventa la cosa più prudente da fare

15 Agosto 2018

Trattare o no con il nemico? E se si, come e quando farlo? L’annuncio del Ministro della difesa israeliano, Avidgor Lieberman, di riaprire il valico di Kerem Shalom e di consentire l’allargamento della zona di pesca di fronte alla Striscia di Gaza nel caso cessino le violenze lungo il confine tra Gaza e Israele ha scatenato non poche polemiche in Israele.

Il Ministro dell’istruzione, Naftali Bennett, che è anche leader del partito di ultradestra Bayit Yehudi (la casa ebraica) ha duramente polemizzato con Lieberman per il suo annuncio accusandolo di «premiare i terroristi dopo 130 giorni di terrore». Secondo Bennet la decisione di Lieberman è sbagliata e il partito della casa ebraica voterà contro qualsiasi accordo con Hamas.

«Questo è un premio in cambio di 130 giorni di terrore, razzi, cecchini e palloncini incendiari», ha detto Bennett. «Questa cosiddetta “tregua” consentirà ad Hamas di rimanere impunito e di ricostruire decine di migliaia di razzi che minacceranno tutte le parti del Paese e permetterà ai terroristi di lanciare una guerra contro Israele quando loro lo decideranno e alle loro condizioni».

Ma perché un “falco” come Lieberman sembra cedere ad Hamas?

In realtà il discorso è un pochino più complesso di come lo espone Bennet. Innanzi tutto la cosiddetta “tregua”, che al momento sembra tenere, arriva dopo un momento in cui Israele era davvero sull’orlo di dare il via a una missione di terra nella Striscia di Gaza. Dopo che Hamas aveva lanciato oltre 150 missili su Israele in una sola notte, l’aviazione israeliana aveva colpito molto duramente le postazioni di Hamas (più duramente di quanto si pensi) in modo da portare i terroristi palestinesi a più miti consigli. L’obiettivo dei raid dell’aviazione israeliana era quello di evitare una escalation che avrebbe portato a una invasione della Striscia di Gaza mettendo Israele nella posizione di “Paese occupante”, un termine sul quale torneremo in quanto importantissimo per tante ragioni.

In quelle ore il Premier, Benjamin Netanyahu, aveva riunito il gabinetto di sicurezza nel quale si sono discusse le varie opzioni tra le quali c’era proprio l’invasione di Gaza. Ma il dilemma su che tipo di “operazione” andava fatta non era cosa da nulla. Invadere Gaza per rimanerci oppure fare come nella altre occasioni nella quali dopo i combattimenti di terra (costati la vita di tanti militari israeliani e civili palestinesi) i militari israeliani si ritiravano lasciando nuovamente campo libero ad Hamas? Nel primo caso Hamas e gli altri gruppi terroristici sarebbero stati probabilmente distrutti ma la Striscia di Gaza sarebbe stata ri-occupata da Israele, con tutto quello che comporta anche a livello di Diritto Internazionale. Nel secondo caso invece si sarebbero probabilmente perse molte vite per poi far tornare tutto come prima (esattamente come è successo le volte precedenti) con l’aggravante che la Striscia di Gaza sarebbe stata ancora una volta sommersa di denaro con a scusa della “ricostruzione” e, come già in passato, quel denaro sarebbe finito nelle mani di Hamas che non lo avrebbe certamente usato per ricostruire Gaza ma per comprare armi e costruire nuovi tunnel del terrore.

C’era però una terza opzione, negoziata dall’Egitto e dalle Nazioni Unite, che era quella di allentare un po’ la corda sul blocco su Gaza in cambio di una tregua, senza però concedere nulla ad Hamas che mai come in questo momento è stato in crisi, sia finanziaria che di consenso interno alla Striscia di Gaza. La terza opzione avrebbe quindi allentato le restrizioni umanitarie ma allo stesso tempo non avrebbe concesso nulla ai terroristi, allontanando però la necessita di un intervento militare di terra che sarebbe costato tantissimo a livello di vite umane sia da una parte che dall’altra.

A questo va aggiunta quella che è la maggiore preoccupazione di Netanyahu e di Lieberman: il fronte nord. Una invasione di Gaza non è certo uno scherzo, significa combattere casa per casa, buco per buco. La supremazia aerea in questo caso va a farsi benedire e questo comporta un impegno militare massiccio con probabili rilevanti perdite tra i militari israeliani. Ma soprattutto, comporta distogliere importanti risorse militari dal fronte nord, cioè da quello più pericoloso per Israele dove vi sono i militari iraniani e i miliziani di Hezbollah. Il rischio non valeva la candela.

Quello di Lieberman non è quindi un cedimento ad Hamas come afferma Naftali Bennett, ma è una decisione prudente e relativamente saggia che dovrebbe portare a calmierare la situazione lungo il confine con Gaza senza però togliere importanti risorse dal fronte nord, cioè quello veramente pericoloso per il destino di Israele.

Intendiamoci, le contestazioni della popolazione del sud di Israele sono più che comprensibili, ma qui c’è in ballo la sopravvivenza di Israele e invadere la Striscia di Gaza come in molti chiedono significherebbe fare un regalo immenso all’Iran e ad Hezbollah in un momento veramente delicatissimo. Vogliamo veramente questo?

A differenza di quanto in molti affermano, pur essendo militarmente una potenza Israele non è onnipotente, e se può concentrarsi su un solo fronte alla volta non solo sarebbe una mossa intelligente ma eviterebbe la perdita di tante vite umane garantendo maggior sicurezza a tutto il Paese.

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