Ieri il Washington Post ha pubblicato l’ultimo articolo di Jamal Khashoggi, il giornalista dissidente saudita probabilmente ucciso e fatto a pezzi nel consolato saudita a Istanbul. Non è un articolo qualsiasi, è un vero e proprio testamento che attacca duramente i regimi islamici troppo frettolosamente chiamati genericamente e in modo riduttivo“regimi arabi”, ma è anche un esercizio di ipocrisia tipico dei suoi articoli.
Jamal Khashoggi fa un sunto impietoso della situazione della libertà nei regimi islamici partendo dal rapporto “Freedom in the World 2018” pubblicato da Freedom House e dal quale si evince con chiarezza che la libertà, a partire dalla libertà di espressione e di stampa, è una parola senza significato laddove regna l’islam, anche se va detto che anche in alcuni paesi dove l’islam non regna (vedi la Russia per fare un esempio) la parola “libertà” è un eufemismo.
Jamal Khashoggi si concentra naturalmente su quella che era la sua area di interesse, cioè il mondo arabo, e parla di quello che lui definisce un mondo disinformato e condizionato dalla narrativa imposta dai regimi e proprio per questo un mondo “non libero”.
Parla della magnifica eccezione che si chiama Tunisia, di paesi “parzialmente liberi” quali Giordania, Marocco e Kuwait, ma poi picchia duro su tutto il resto del “mondo arabo” anche se, come detto prima, è riduttivo parlare di mondo arabo perché Iran, Turchia, Pakistan e altri non fanno parte del mondo arabo ma sono comunque regimi islamici.
Jamal Khashoggi parla delle grandissime aspettative scaturite dalle cosiddette “primavere arabe”, aspettative poi clamorosamente deluse dal corso degli eventi. Tuttavia manca completamente di autocritica visto che proprio Jamal Khashoggi era aperto sostenitore della Fratellanza Musulmana, non certo un campione di libertà e non esente da responsabilità nel fallimento delle primavere arabe. Arriva anche all’ipocrisia quando inserisce il Qatar in quelle che lui chiama «oasi che continuano a incarnare lo spirito della primavera araba». Il Qatar, cioè uno dei paesi arabi che maggiormente sostiene la Fratellanza Musulmana e il terrorismo islamico. Era forse questa la sua visione di “primavera araba”?
Al di la della crudeltà con la quale Jamal Khashoggi è stato ucciso e senza sminuire la gravità del fatto, non vorrei che adesso si facesse di quest’uomo un esempio di giornalismo libero, magari paragonandolo come è stato fatto ad Anna Politkovskaja o ad altri giornalisti uccisi veramente per le loro idee liberali. La sua fedeltà alla Fratellanza Musulmana impedisce di collocarlo in questo alveo di persone. Khashoggi faceva politica a favore dei Fratelli Musulmani in maniera sfacciata e in modo estremamente intelligente facendo passare questa setta islamica per un esempio di libertà e di “nuovo islam” quando in effetti è tutto fuorché un esempio di libertà. Basti vedere come Jamal Khashoggi tratta la Turchia di Erdogan, nemmeno citata nel suo articolo sebbene sia tra i regimi più criticati proprio dal rapporto di Freedom House da lui citato.
Intendiamoci, non c’era niente di sbagliato in quello che lui scriveva, la sua bravura consisteva proprio in questo, scrivere cose giuste omettendo però di scrivere critiche contro l’amata Fratellanza Musulmana. Anzi, a ben guardare la sua era una sottile e raffinata propaganda a favore di questa setta islamica che nulla ha di liberale.
Ma ormai Jamal Khashoggi è diventato un simbolo della libertà di stampa messa a tacere, cosa vera, non lo nascondiamo, perché a prescindere dalle idee delle singole persone ognuno ha Diritto a scrivere quello che vuole, ma per favore non ne facciamo un santo perché Jamal Khashoggi era tutto fuorché un santo.