Bashar al-Assad può giustamente gioire per la vittoria ottenuta dalle sue forze nella provincia di Daraa, una vittoria anche fortemente simbolica. Era infatti proprio dalla città meridionale che era partita la rivolta nel 2011.
Ora rimangono solo due sacche di resistenza prima che il regime siriano possa affermare di aver ripreso il controllo di tutto il territorio, quella di Idlib, nel nord del Paese, dove l’Esercito Libero Siriano è sostenuto dalla Turchia, e quella ad est del fiume Eufrate dove i curdi sostenuti (a fasi alterne) dagli americani potrebbero però accordarsi con il regime siriano in cambio di una parziale autonomia ma anche per tenere lontana la Turchia di Erdogan che ha chiare mire verso quella regione.
Ci sarebbe in realtà una terza sacca di resistenza che in molti associano a quella appena caduta di Daraa ma che per varie ragioni andrebbe trattata separatamente, quella di Quneitra, a ridosso delle Alture del Golan e quindi del confine con Israele.
Ed è proprio all’area di Quneitra che ora Assad sembra guardare come prossimo obiettivo della sua offensiva. Gli iraniani e le milizie sciite a loro collegate che tanto aiuto hanno fornito al regime siriano e che hanno contribuito a tenerlo in sella, vogliono passare all’incasso, vogliono cioè ottenere quel vantaggio strategico che poi è la ragione vera del loro intervento in Siria al fianco di Assad: il posizionamento militare a ridosso di Israele.
Nuovi scenari di guerra
Se da un lato la vittoria siriana nella provincia di Daraa chiude un “cerchio psicologico” riguardante prettamente la guerra civile interna alla Siria, le prossime mosse di Assad incideranno invece su tutto il Medio Oriente.
Ora il dittatore siriano deve fare una scelta tra concentrare la sua prossima offensiva nel nord del Paese e scontrarsi con la Turchia che di fatto occupa una parte di territorio siriano, oppure pagare il debito con l’Iran e puntare su Quinetra finendo quindi per scontrarsi con Israele che ha detto più volte e in tutte le salse che non permetterà all’Iran e alle sue milizie di posizionarsi a ridosso del Golan.
Tutto lascia pensare che la prossima mossa di Assad sarà proprio quella di puntare su Quinetra, città che si trova all’interno di quell’area cuscinetto stabilita dagli accordi di cessate il fuoco tra Siria e Israele del 1974. Gerusalemme ha già fatto sapere che chiunque entrerà in quell’area sarà considerato un obiettivo militare legittimo, che tradotto in parole povere vuol dire che verrà attaccato.
La cosa non è però così semplice. Quinetra è legittimamente territorio siriano e logicamente Israele non può pretendere che Assad lasci la città in mano dei ribelli. Il problema è piuttosto quello che riguarda “chi e come” entrerà in quell’area. Senza l’appoggio delle milizie sciite teleguidate da Teheran (soprattutto Hezbollah ma anche decine di migliaia di miliziani provenienti da diversi luoghi) il debole esercito siriano non sarebbe mai stato in grado di riconquistare il territorio perso, nemmeno con il pur importante appoggio aereo della Russia. Questo vale anche e soprattutto per Quinetra. E’ impensabile che l’esercito siriano da solo possa riconquistare la città, il che vuol dire che come per Daraa sarà fondamentale l’appoggio delle milizie sciite teleguidate da Teheran e questo apre purtroppo uno scenario tutt’altro che tranquillizzante.
L’intelligence israeliana da mesi lancia l’allarme sulla massiccia presenza di milizie sciite e addirittura di militari iraniani a ridosso dell’area di Quinetra. Se Assad dovesse decidere di attaccare quella zona con l’aiuto degli iraniani andrebbe incontro immancabilmente alla conseguente reazione israeliana. Ma senza non lo può fare. E’ un collo di bottiglia di non poco conto.
Sempre l’intelligence israeliana ha avvisato che i miliziani sciiti potrebbero indossare le divise dell’esercito siriano per “mascherare” la loro presenza in quell’area e non dare quindi a Israele la scusa per attaccarli. Si sta davvero camminando su un filo molto sottile.
La conquista da parte di Assad di Daraa che molti vedono come l’inizio della fine della guerra civile in Siria potrebbe quindi essere l’inizio di una fase tutt’altro che pacifica, una fase che purtroppo in molti profetizzano da tempo, quella di uno scontro diretto tra Israele e Iran.
Ora come non mai servirebbe una diplomazia forte, ma sia l’Europa che gli Stati Uniti sembrano poco “attrezzati” a fermare l’escalation tra Gerusalemme e Teheran derivante proprio dal conflitto in Siria. Non rimane che sperare nella Russia di Putin e non è davvero una buona notizia.