Mercoledì prossimo sarà il giorno di Netanyahu da Trump. Il Premier israeliano incontrerà il Presidente americano in quello che si prospetta come un incontro dalle grandi prospettive per i rinnovati rapporti tra Israele e Stati Uniti dopo otto anni di amministrazione Obama non propriamente “amichevole” con lo Stato Ebraico.
I problemi sul tavolo sono tanti, primo tra tutti quello che riguarda la politica espansionistica iraniana e il pericolo che rappresenta per Israele. Netanyahu si trova però ad affrontare anche problemi interni alla sua coalizione di Governo che vede l’ultra-destra israeliana impegnata più sul versante palestinese che su quello ben più importante che riguarda l’Iran. Ieri il Washington Post riportava di una sorta di ultimatum inviato da Naftali Bennett a Netanyahu il quale lo “invitava” a non nominare la frase “Stato Palestinese”. «Quelle parole non devono essere dette» ha tuonato Bennet aggiungendo che «se entrambe le parti pronunceranno quelle due parole la terra tremerà».
L’obiettivo di Naftali Bennett è da sempre quello di non riconoscere uno Stato Palestinese e di impedirne quindi la nascita, una linea che si scontra con quella universalmente riconosciuta dei due Stati che anche la nuova Amministrazione americana sembra portare avanti seppur con diversi distinguo rispetto alla linea del suo predecessore, Barack Obama. E’ una linea che mette seriamente nei pasticci il Premier israeliano, già in difficoltà nell’approvare la legge voluta proprio da Bennet che regolarizza gli insediamenti israeliani in West Bank e che tanto ha fatto discutere.
Di parere decisamente diverso rispetto a Bennet è il Ministro della Difesa, Avidgor Lieberman, il quale in una riunione di Governo che doveva preparare l’incontro tra Netanyahu e Trump ha insistito sul fatto che «la vera minaccia per Israele e l’Iran» invitando il Premier a concentrarsi su questo e non sulle richieste di Bennet.
Ed è questa la maggiore difficoltà che dovrà affrontare Netanyahu nel suo incontro con Trump, cercare di tenere in piedi la sua coalizione di Governo senza però apparire troppo oltranzista. Un compito non certo facile, specie perché Netanyahu la pensa esattamente come Lieberman e non ha nessuna intenzione di isolare Israele a livello internazionale in un momento in cui il pericolo iraniano si fa sempre più incalzante. Pure Trump sembra aver fatto un passo indietro sia rispetto al trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme che sulla questione degli insediamenti israeliani in West Bank. Il Presidente americano si è reso probabilmente conto che i problemi veramente impellenti per Israele sono altri e non l’annosa questione palestinese che invece Bennet vorrebbe posta al primo punto dell’agenda.
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