Hamas ha bisogno assolutamente di questa guerra, possibilmente bagnata dal sangue di centinaia di “martiri”. Il motivo è drammaticamente semplice: senza guerra Hamas è finito.
Politicamente il gruppo terrorista è isolato. Non può più contare sull’appoggio del mondo arabo con la diga egiziana che blocca tutto. Non ha più denaro dopo che l’Egitto ha fatto saltare in aria tutti i tunnel del contrabbando e non riesce da mesi a pagare gli stipendi dei dipendenti, ormai sull’orlo della rivolta. Potrebbe contare di nuovo sull’appoggio iraniano dopo che lo aveva perso per essersi schierato contro Assad, ma non è così semplice per l’Iran far giungere armi e denaro a Gaza. L’unica alternativa resta una guerra con centinaia di morti civili che fanno sempre odiens e che possibilmente riesca a scatenare una terza intifada.
In particolare questa ultima ipotesi sembra quella che più verosimilmente riuscirebbe a mantenere in vita Hamas. Per questo i cosiddetti “difensori dei Diritti Umani” amici di Hamas che operano in Cisgiordania stanno pompando le folle. Ad Hamas una terza intifada serve come l’aria per respirare. Una “nota attivista per i Diritti Umani”, come usano farsi chiamare i sostenitori di Hamas da queste parti, tra una notizia falsa e una esultanza per i missili su Tel Aviv scriveva l’altro giorno sulla sua pagina Facebook: «Dr Ramadan: l’unico perdente è l’autorità palestinese che scommesse e ancora scommette sui negoziati di pace». Tradotto: basta negoziati di pace è ora di fare una vera guerra come sta facendo Hamas.
Una delle cose che accomuna la ANP (Autorità Nazionale Palestinese) ad Hamas è proprio la capacità di propaganda. Hamas ha però due armi in più, la prima è il fatto che può contare in Cisgiordania su questo vastissimo serbatoio di “difensori dei Diritti Umani”, poco interessati allo sviluppo e molto più interessati alla guerra. La seconda sono i potenziali “martiri” che immancabilmente ci saranno in caso di conflitto di grandi dimensioni. Ecco perché ieri mentre Israele chiedeva agli abitanti di Gaza nord di lasciare la zona, Hamas faceva di tutto per tenerli li. A loro quei morti servono. Se gli tolgono gli scudi umani sono finiti.
La terza intifada necessaria
Paradossalmente il rischio più grosso per Israele non arriva tanto da Gaza quanto piuttosto dalla Cisgiordania. Di questo Netanyahu ne è perfettamente conscio, per questo è molto prudente prima di scatenare una guerra a Gaza. L’infiltrazione terrorista della Cisgiordania è molto più consistente di quanto si creda e può giovarsi dell’aiuto esterno di tutti questi ispiratori d’odio travestiti da “attivisti per i Diritti Umani” che dall’interno fomentano le folle anche contro la stessa ANP. Se in Cisgiordania scoppiasse una terza intifada sarebbe lo stesso Governo palestinese ad essere in pericolo e, al di la degli stereotipi, Israele non se lo può permettere. Tutto questo è ben chiaro anche ad Hamas ed è per questo che nonostante i ripetuti fallimenti continua a lanciare missili su Israele. Non gli bastano 180 morti, sono troppo pochi per scatenare una intifada. E il rifiuto di qualsiasi accordo di cessate il fuoco, presentato oltretutto dai Paesi Arabi, è li a dimostrare che questa guerra serve molto più ad Hamas che a Israele.
I target per Israele
Dando per scontato che una operazione di terra israeliana non sarebbe volta alla rioccupazione di Gaza ma solo alla distruzione degli arsenali di Hamas e della Jihad Islamica, Israele dovrebbe anche agire in profondità in Cisgiordania individuando con molta attenzione i target da colpire. Per fare questo non può prescindere dalla collaborazione con la ANP. Abu Mazen lancia i soliti proclami contro l’attacco israeliano a Gaza, ma l’eliminazione di Hamas farebbe molto più comodo a lui che a Israele. Ma per eliminare Hamas la ANP deve prima di tutto impedire una terza intifada in Cisgiordania. Deve quindi individuare i propri nemici interni ed intervenire per renderli innocui. E di serpi in Cisgiordania ce ne sono parecchie.
Concludendo, Hamas non può accettare un cessate il fuoco semplicemente perché vorrebbe dire la sua fine. E allora tenta il tutto per tutto o, per dirla all’italiana, vuole buttare tutto in buriana con la speranza che in Cisgiordania qualcosa succeda. Questo è da evitare ad ogni costo.
[glyphicon type=”user”] Scritto da Miriam Bolaffi
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