Sono stata da sempre una fervente sostenitrice di Benjamin Netanyahu, non per ragioni meramente ideologiche o politiche, ma perché convinta che la sua politica, salvo rari casi, fosse la migliore per Israele.

Oggi purtroppo mi trovo a criticare Netanyahu e lo faccio veramente con il cuore in mano, consapevole delle sua buona fede e del fatto che se errori ci sono stati nella sua politica, potrebbero non dipendere da lui quanto piuttosto dal repentino cambiamento della geopolitica mediorientale.

Cosa si contesta a Netanyahu?

La prima cosa che mi viene in mente, il primo errore, è senza dubbio la troppa fiducia riposta nel presidente americano, Donald Trump, una fiducia che nasce da quel primo atto con il quale “The Donald” trasferì l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.

In quel caso Trump mantenne una promessa fatta durante le elezioni andando veramente contro tutto il mondo. Quell’atto, quella sfida verso tutti e tutto, proiettò il Presidente americano in cima alle simpatie di quasi tutti gli israeliani. Come non dare fiducia ad un uomo che mantiene le proprie promesse?

Peccato che a quell’atto così “rivoluzionario” non seguì una vera politica pro-israeliana, intesa come “volta a garantire la sicurezza di Israele sui molti fronti dove lo Stato Ebraico è impegnato o minacciato”.

Intendiamoci, gli Stati Uniti non hanno mai fatto mancare il loro supporto a Israele in tutti i contesti internazionali dove lo Stato Ebraico si è trovato sotto attacco, come all’ONU o al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Hanno condotto una politica fortemente anti-palestinese il che ha ridotto tutta l’annosa questione del conflitto arabo-israeliano ai minimi termini.

Tuttavia in altri contesti ben più importanti (e pericolosi) come quello iraniano e siriano, sono stati decisamente poco lungimiranti, almeno per quanto riguarda gli interessi israeliani.

Non che gli Stati Uniti debbano fare per forza gli interessi di Israele, ma vista l’importanza della posta in gioco, era auspicabile che Washington si muovesse in tutt’altro modo rispetto a come si è mossa.

Di fatto hanno lasciato il controllo del Medio Oriente ai russi, prima non reagendo agli attacchi iraniani contro l’altro alleato di ferro degli USA in Medio Oriente, l’Arabia Saudita, poi ritirandosi dalla Siria abbandonando così un altro forte alleato, quei curdi siriani che avevano sconfitto ISIS.

Così facendo hanno lasciato a Mosca il ruolo di potenza regionale, di ago della bilancia su qualsiasi controversia regionale.

Questo atteggiamento ha avuto e avrà notevoli conseguenze sulla politica israeliana, in primo luogo perché la Russia di Putin, per quanto non ostile a Israele, è comunque il miglior alleato dell’Iran.

Se oggi gli iraniani sono a pochi Km dal confine israeliano è perché Mosca glielo ha permesso a dispetto delle promesse fatte da Putin a Netanyahu.

Se l’Iran ha potuto costruire il famigerato “corridoio sciita”, insinuarsi pesantemente negli interessi iracheni, siriani e libanesi, lo ha potuto fare solo perché Mosca glielo ha permesso e gli americani si sono praticamente ritirati da quei teatri.

Netanyahu, che aveva puntato tutto sull’alleanza con gli Stati Uniti e sui “buoni rapporti” con Putin si è accorto all’improvviso che nulla di questo è servito a fermare il posizionamento iraniano intorno a Israele.

Non è un caso che i raid preventivi israeliani contro obiettivi iraniani in Siria, in Libano e in Iraq si siano fermati all’improvviso. Putin ha tirato il freno (perché alleato dell’Iran) e gli americani sono praticamente fuori dalla regione.

E non depongono certamente a favore della scelta di Netanyahu di fidarsi completamente di Trump le recenti discutibili decisione della Casa Bianca di rimanere immobile di fronte all’attacco iraniano contro le infrastrutture petrolifere saudite e l’abbandono dei curdi siriani. Un alleato serio sarebbe intervenuto nel caso saudita e non avrebbe abbandonato i curdi.

All’improvviso Israele si trova da solo, o almeno si sente solo, di fronte alla gravissima minaccia iraniana. Questo, lo dobbiamo purtroppo ammettere, è dovuto unicamente alla scelta di Netanyahu di fidarsi ciecamente dell’uomo di Washington.

Voglio sperare che in caso di attacco iraniano a Israele, anche se per mezzo di proxy regionali, gli Stati Uniti non rimarranno con le mani in mano. Ma visti i recenti sviluppi, ho poca fiducia che ciò avvenga. E temo che anche Netanyahu lo pensi, che abbia questo timore.

Di sicuro i suoi avversari politici gli stanno rinfacciando di “aver perso la scommessa”, di aver sbagliato i conti affidandosi completamente agli Stati Uniti e ai buoni rapporti con la Russia. E non hanno tutti i torti, anche se in tutta onestà nessuno poteva prevedere gli ultimi sviluppi dovuti alle incomprensibili decisioni del Presidente americano.

Domani arriva in Israele il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, che incontrerà il Premier Benjamin Netanyahu per discutere sui recenti sviluppi in Siria e per “rassicurare” l’alleato israeliano.

Non sappiamo quali rassicurazioni darà Pompeo a Netanyahu. Quello che sappiamo è che Israele è bloccato, che i raid preventivi sono fermi e che nel mentre gli iraniani continuano la loro manovra a tenaglia contro lo Stato Ebraico. Questa è la dura realtà ed è la conseguenza di un grave errore di valutazione di Netanyahu. Piange il cuore dirlo, ma gli amici veri sono quelli che quando sbagli hanno il coraggio di criticarti, non quelli che ti danno sempre ragione a prescindere.