Che i giovani israeliani e palestinesi siano meglio dei loro padri per parlare di pace? Sembra proprio che sia così, almeno se si guarda al bellissimo esperimento messo in piedi dal Leon Charney Resolution Center della Università di Haifa.
Nei giorni scorsi 150 studenti israeliani e palestinesi hanno dato vita a un congresso organizzato dal Leon Charney Resolution Center, dalla Università di Haifa e dalla ONG Minds of Peace, durante il quale i giovani israeliani e palestinesi si sono confrontati tra di loro senza pregiudizi e hanno simulato trattative di pace per mettere fine all’annoso conflitto che contrappone Israele ai palestinesi.
Cento studenti universitari e 50 studenti delle scuole superiori di entrambe le parti hanno dato vita a un esperimento senza precedenti che ha riservato molte positive sorprese e che ha rivelato come il più delle volte i pregiudizi inculcati dagli adulti, nonché da organizzazioni poco chiare, nelle menti dei giovani israeliani e palestinesi contribuiscono affinché sia sempre più difficile trovare una soluzione al conflitto israelo-palestinese.
I ragazzi hanno in sostanza simulato colloqui di pace tra le due parti partendo però da una precondizione che nella realtà non viene mai presa in considerazione: quella di accantonare il passato e di volgere lo sguardo solo al futuro.
I giovani israeliani e palestinesi hanno quindi formato diversi tavoli di confronto composti da piccoli gruppi con l’obiettivo dichiarato di proporre soluzioni pratiche e di creare un clima di fiducia tra le parti evitando di parlare dei motivi che hanno portato a 70 anni di conflitto ma concentrandosi solo sulle possibili soluzioni. Alla fine della conferenza ogni gruppo ha rendicontato sulle discussioni e sulle soluzioni alle quali sono arrivati.
«Sono rimasto impressionato dalla profondità degli argomenti e dalla voglia reciproca di questi giovani di trovare e proporre soluzioni» ha detto il prof. Ron Robin, presidente dell’università di Haifa. «E stato sorprendente ascoltare la sofisticata dinamica di alcuni colloqui tra questi giovani nati dopo i fatti che hanno portato al conflitto israelo-palestinese».
Per esempio è emerso che molti giovani palestinesi che appoggiavano il Movimento BDS si siano resi conto di quanto questo movimento sia dannoso prima di tutto per loro stessi.
Alaa Amro, una studentessa universitaria palestinese di 23 anni di Hebron ha spiegato che il Movimento BDS è molto popolare nella sua comunità ma ha ammesso che questo movimento è prima di tutto dannoso per gli stessi palestinesi. «Noi palestinesi veniamo in Israele per lavorare, usiamo quotidianamente prodotti israeliani così come gli israeliani usano prodotti e manodopera palestinese. A causa del Movimento BDS molte famiglie palestinesi si sono ritrovate senza lavoro. E per cosa?» si chiede la giovane ragazza palestinese. «Usiamo ancora i prodotti israeliani e cerchiamo ancora lavoro in Israele. Così non funziona. Questa non è la soluzione» ha poi aggiunto.
Le discussioni sono state in alcuni frangenti molto accese, non è facile cancellare oltre 70 anni di odio anche se lo sguardo era rivolto al futuro, ma le soluzioni uscite da questo “finto vertice di pace” sono state a volte sorprendenti per non dire rivoluzionarie. Difficile metterle in fila in poche righe. Per esempio per molti giovani palestinesi andrebbero trovate soluzioni separate per Gaza e per la Cisgiordania, un fatto abbastanza strano che fino ad ora non era mai emerso da parte palestinese.
Le responsabilità di questi 70 anni di conflitto sono state addebitate alle leadership che non hanno saputo mettere da parte l’odio a prescindere, la narrazione storica spesso distorta e le reciproche promesse mancate.
Il Dr. Sapir Hadelman, fondatore di Minds of Peace, è convinto che questo esperimento abbia dimostrato come le rispettive narrazioni storiche siano il più grande ostacolo alla pace e che per arrivare a una soluzione del conflitto israelo-palestinese occorra volgere lo sguardo esclusivamente verso il futuro. Un futuro che è nelle mani delle nuove generazioni di israeliani e palestinesi e che, si spera, parlino tra di loro così come hanno fatto questi 150 giovani in questi giorni ad Haifa.