Un accordo per la riconciliazione tra Israele e Turchia è stato raggiunto ieri a Roma dove le due delegazioni si sono incontrate. L’accordo è spalmato su otto punti fondamentali che non hanno mancato di scatenare polemiche. Gilad Sharon, importante editorialista di Yedioth Ahronoth questa mattina parla senza mezzi termini di “condizioni di resa” descrivendo l’accordo come una capitolazione di Israele. Altri lodano il pragmatismo del Governo israeliano che di fatto ha isolato militarmente e politicamente Hamas.
I punti dell’accordo
Come detto l’accordo verte su otto punti:
- Israele e Turchia ristabiliranno normali relazioni diplomatiche compreso l’invio reciproco di ambasciatori. Israele e Turchia si impegnano anche a non commettere azioni che possano danneggiare l’altra parte a livello militare o diplomatico anche in sedi internazionali come l’ONU o la NATO
- La Turchia rinuncia a chiedere la fine del blocco di Gaza in cambio del permesso di consegnare aiuti umanitari alla Striscia che passeranno attraverso il porto di Ashdod e saranno controllati dagli israeliani prima di essere consegnati. Israele consentirà alla Turchia di costruire una nuova centrale elettrica nella Striscia di Gaza. La Turchia costruirà in collaborazione con la Germania anche un impianto di desalinizzazione.
- L’accordo non prevede una clausola per la liberazione di Avera Mengiustu, un cittadino israeliano affetto da turbe psichiche catturato da Hamas e neppure la restituzione dei corpi di Oron Shaul e Hadar Goldin, due militari israeliani uccisi durante Bordo Protettivo, ma la Turchia si impegna a favorire la liberazione del cittadino israeliano e per la restituzione delle spoglie dei militari attraverso i suoi contatti con Hamas.
- Israele trasferirà circa 21 milioni di dollari ad un fondo umanitario turco come risarcimento per le vittime della Mavi Marmara. Sarà il fondo a trasferire il denaro alle famiglie delle vittime.
- La Turchia terminerà tutti i procedimenti legali contro gli ufficiali israeliani per i fatti della Mavi Marmara.
- La Turchia impedirà ad Hamas di usare il suo territorio come base di partenza per operazioni terroristiche contro Israele o per azioni volte a danneggiare Israele in qualsiasi modo. In cambio Israele ha annullato la richiesta di chiudere gli uffici di Hamas in Turchia. Il comandate di Hamas, Salah al-Arouri, ricercato da Israele per diversi attentati non si trova più in Turchia quindi non ne può essere chiesta l’estradizione. Tuttavia egli non potrà più mettere piede in Turchia o verrà arrestato ed estradato verso Israele.
- Israele e Turchia riprenderanno la collaborazione militare e di intelligence
- I due paesi inizieranno a breve i colloqui per la costruzione di un gasdotto in Turchia volto alla esportazione del gas israeliano sia verso la Turchia che verso altri Paesi.
Le reazioni in Israele e in Turchia
Come detto in precedenza le prime reazioni in Israele sono discordanti. Gilad Sharon, editorialista di punta di Yedioth Ahronoth, ha pubblicato un editoriale di fuoco contro questo accordo. Altri giornalisti ed analisti sono più cauti. Alcuni lodano il pragmatismo di Netanyahu che con questo accordo avrebbe ulteriormente isolato Hamas o quantomeno la sua ala militare. Altri mettono l’accento sui positivi risvolti economici della ripresa delle relazioni con la Turchia, a partire dalle esportazioni di gas che Israele si accinge ad estrarre. In Turchia invece si parla senza mezzi termini di “vittoria diplomatica”.
L’accordo dal punto di vista strategico
Pur con le dovute cautele necessarie quando si parla di un accordo con Erdogan e fatte salve le antipatie e le diffidenze verso il sultano turco, quello tra Israele e Turchia non è solamente un accordo di riconciliazione che riguarda gli otto punti sopra elencati. Ci sono punti dell’accordo che riguardano la difesa strategica che chiaramente non vengono divulgati. Si spiega così la lunga gestazione e le decine di riunioni segrete durate mesi e mesi. A Gaza si va verso una “gestione” turca di Hamas anche se con le limitazioni imposte dalla sicurezza di Israele. In sostanza la patata bollente passa ad Ankara e il Qatar perde molta della sua influenza sulla Striscia di Gaza. Questo dovrebbe evitare anche che l’Iran si insinui a Gaza. Rimangono aperti molti quesiti su possibili infiltrazioni del ISIS, ma serve affrontare un problema alla volta e se la Turchia rispetterà il punto uno dell’accordo questo non dovrebbe avvenire. Ma la novità maggiore è quella di cui abbiamo parlato qualche giorno fa, cioè la costituzione de facto di un asse anti-Iran composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Turchia e Israele. In questo contesto rientra la ripresa della collaborazione militare e di intelligence tra Gerusalemme e Ankara. Non va infatti dimenticato che per Israele i pericoli maggiori arrivano dall’Iran e dal loro proxy in Libano, cioè Hezbollah. Mettere al sicuro (o relativamente al sicuro) il fronte sud (quello di Gaza) e nel contempo attivare una collaborazione militare con quattro potenze regionali in configurazione anti-iraniana è stata forse la miglior mossa fatta da Netanyahu. Un altro punto che non va sottovalutato è quello che riguarda il punto due dell’accordo con la Turchia perché nei fatti si esclude o si riduce notevolmente l’impatto dell’Unione Europea e dell’ONU sulla gestione degli aiuti a Gaza a favore di un maggior impegno di Ankara (e di Berlino) nella gestione della Striscia. Non è un risultato da poco e sottovalutarlo sarebbe stupido perché se tutto andrà come dovrebbe andare (ma il condizionale è d’obbligo) in un colpo solo Israele si sarà liberato di tre pesi davvero ingombranti per lo Stato Ebraico, Hamas, la UE e le agenzie dell’ONU con risvolti che potranno avere importanti ricadute anche nella gestione della Cisgiordania e nei rapporti con la Autorità Nazionale Palestinese.
Scritto da Maurizia De Groot Vos