Non abbiamo mai parlato del servizio schifezza su Gaza andato in onda la settimana scorsa nel programma “Le Iene”, un qualcosa di assolutamente disinformante e chiaramente volto a favorire Hamas e probabilmente costruito in perfetta sintonia con quanto stabilito da Hamas in merito alle linee guida che i media devono seguire all’interno della Striscia di Gaza. Ma questa mattina esce su Ynet un articolo a firma Francesca Borri che se non è una risposta al “servizietto” de “Le Iene” è senza dubbio uno sguardo sulla reale situazione di Gaza e comunque la dimostrazione che per fare giornalismo verità su Gaza non serve vestirsi di nero, mettere degli occhiali e accordarsi con Hamas.
L’articolo di Francesca Borri è sobrio, è realistico, nomina per la prima volta dopo tanti mesi il “Movimento 15 marzo” cioè un movimento all’interno della Striscia di Gaza che si rifà ai primi ragazzi egiziani che scesero in piazza Tahrir, un movimento che è la continuazione del GYBO che appoggiò anche il defunto Vittorio Arrigoni con il suo “vaffanculo Hamas, Fatah, Israele, UNWRA e vaffanculo USA” e che probabilmente gli costò la vita. Non evita di parlare delle condizioni disastrose in cui vive la gente a Gaza ma ne inquadra inesorabilmente i responsabili in Hamas, in Fatah e nelle lotte intestine tra fazioni palestinesi. Non evita di parlare della distruzione della guerra ma lo fa con occhio obbiettivo. Parla degli imprenditori di Gaza, quegli stessi imprenditori che a suo tempo abbiamo intervistato anche noi e che inquadrano in Hamas l’origine di tutti i problemi di Gaza. Ma, soprattutto, pone l’accento sulle differenze tra Gaza occupata da Hamas e la Cisgiordania amministrata dalla ANP, la prima costretta a continue guerre dove il motto è “esistere per resistere” e la seconda dove ogni giorno nascono nuove imprese e dove il parrucchiere mostra l’asciugacapelli e dice “questa è la mia arma”.
A Gaza la gente è costretta a spendere un dollaro per una bottiglia di acqua (una cifra enorme per un abitante di gaza e che oltretutto vengono donate e sono comprese negli aiuti umanitari), che naturalmente vende Hamas, mentre in Cisgiordania l’acqua potabile sgorga dai rubinetti. Per Hamas vengono prima le armi e poi l’acqua. Dei soldi per la costruzione dei desalinatori se ne sono perse le tracce, ma di questo “Le iene” nemmeno se ne sono interessate.
Ci fermiamo qui e vi invitiamo a leggere l’articolo di Francesca Borri che a costo di far arrabbiare Google linkiamo di nuovo. E’ un esempio di come si fa giornalismo e di come per scrivere la verità su Gaza serva ascoltare quello che dicono gli abitanti di Gaza lontano dai mitra puntati di Hamas, che non serve accordarsi con i terroristi. In fondo le Iene andrebbero ringraziate, un obbiettivo lo hanno raggiunto, hanno fatto vedere che accordarsi con i terroristi porta sempre sulla strada sbagliata.
[glyphicon type=”user”] Scritto da Bianca B.
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