È arrivato il momento di mettere in dubbio Amnesty International?

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando nel 1977 Amnesty International veniva insignita del Premio Nobel per la pace, meritatissimo per l’ardua difesa dei Diritti Umani che all’epoca la più famosa ONG al mondo metteva in campo.

Da allora la creatura fondata da Peter Benenson è stata più volte al centro di dubbi e critiche, sospetti di connessione con servizi segreti e altre strutture che spinsero lo stesso fondatore ad andarsene sbattendo la porta.

Eppure Amnesty International ha sempre mantenuto la nomea di “struttura affidabile” così affidabile che nessuno mai ha provato a mettere in dubbio i suoi rapporti forti dell’essere scritti da un Premio Nobel per la Pace.

Eppure ce ne sarebbero di motivi per mettere in dubbio quei rapporti. Noi di RR abbiamo avuto a che fare con Amnesty in diverse occasioni nelle quali attaccava Israele e magari evitava di attaccare Hamas o, se lo faceva, erano attacchi circoscritti e poco incisivi.

Nei suoi rapporti Amnesty International parla sempre di “loro ricercatori sul campo”. Eppure nell’ambito della cooperazione internazionale, delle grandi strutture internazionali e persino delle strutture militari, nessuno ha mai conosciuto un solo “ricercatore sul campo” che affermasse provandolo di essere inviato da Amnesty International. Di sicuro non in Medio Oriente e temo che sia così anche dalle altre parti.

Poco male, si dirà, ci sono sempre i “collaboratori sul campo” che denunciano i crimini di guerra e le violazioni del Diritto Internazionale. Spesso nei suoi rapporti Amnesty International li cita con nomi e cognomi così come fa con i testimoni.

Ma quante volte questi cosiddetti “testimoni” sono stati portati di fronte alla giustizia internazionale per incriminare coloro che si erano macchiati di gravi crimini? Quante volte un ricercatore sul campo o un collaboratore sul campo di Amnesty International è andato di fronte alla Corte Penale Internazionale portando prove dei crimini da loro denunciati? Dieci volte? Cento? Mille? Zero? Queste persone esistono veramente?

Ho l’impressione che dagli anni successivi al 1977 Amnesty International abbia vissuto sostanzialmente di rendita, che cioè quel meritatissimo Premio Nobel per la Pace abbia conferito ad AI una sorta di status di “indiscutibile affidabilità” di cui a volte si è approfittato, magari per far felice un grosso donatore o per dare credito all’ideologia di qualche dirigente amico dell’amico.

Quello che quindi mi piacerebbe capire è se il Premio Nobel per la Pace del 1977 vale ancora come motivo per avere quello status di indiscutibile affidabilità per cui dobbiamo prendere per buono tutto quello che Amnesty International afferma, spesso senza prove concrete, oppure se è arrivato il momento di mettere in dubbio quella che chiaramente non è più la creatura di Peter Benenson che si meritò veramente quel Nobel.

Tutte le grandi ONG che operano a livello internazionale e denunciano i crimini che vedono, hanno cooperanti sul campo con un nome e un cognome e sono chiaramente individuabili dalle organizzazioni internazionali e dalle altre ONG. Perché questo non avviene con Amnesty International? Riservatezza per la sicurezza del “ricercatore sul campo”? Per Amnesty International ci dobbiamo quindi fidare sulla parola mentre dalle altre organizzazioni pretendiamo prove inoppugnabili?

Franco Londei

Esperto di Diritti Umani, Diritto internazionale e cooperazione allo sviluppo. Per molti anni ha seguito gli italiani incarcerati o sequestrati all’estero. Fondatore di Rights Reporter

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