Citando “fonti informate”, Ron Ben-Yishai, il veterano corrispondente per la difesa del giornale israeliano Yediot Aharonot, ha scritto il 14 aprile che la National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti, il ramo dello spionaggio incaricato di raccogliere segnali di intelligence (SIGINT), ha reclutato “decine” di persone che parlano ebraico.
Di conseguenza, l’agenzia impiega circa 250 analisti, traduttori, linguisti, per intercettare e controllore il traffico di comunicazioni elettroniche israeliane, tra cui telefonate, messaggistica digitale e trasmissioni in codice.
La crescente penetrazione della NSA nelle comunicazioni sicure di Israele è venuta alla luce grazie al fatto che una serie di documenti top-secret del Pentagono è finita online a causa di una fuga di notizie. Alcune delle intercettazioni della NSA trapelate rivelerebbero che messaggi elettronici super segreti scritti da funzionari di alto livello dell’agenzia di intelligence israeliana Mossad, sono stati intercettati.
Data la presenza militare degli Stati Uniti in aree potenzialmente instabili come il Mediterraneo, la Siria e i Paesi del Golfo Persico, sarebbe naturale per Washington raccogliere in modo aggressivo qualsiasi informazione relativa allo sviluppo di minacce ai suoi militari e alla sua presenza nella regione.
Tuttavia la crescente inclinazione dell’NSA ad assumere traduttori dall’ebraico suggerisce che l’amministrazione Biden è sempre più preoccupata di una possibile impresa militare israeliana che potrebbe scatenare un conflitto mediorientale su larga scala, piuttosto che controllare, magari, quello che succede a Teheran.
Dopo che l’Iran si è avvicinato sempre di più all’arricchimento dell’uranio per scopi militari e dopo la formazione di un governo di destra a Gerusalemme, Washington ha concluso che la probabilità di un attacco preventivo israeliano ai siti nucleari iraniani, anche senza l’aiuto degli Stati Uniti, è aumentata in modo significativo.
Inoltre, l’accelerazione delle esercitazioni su larga scala dell’aviazione israeliana, che evidentemente simulano attacchi ai siti nucleari iraniani e che sono state rilevate dall’intelligence statunitense, ha indubbiamente aumentato i timori di Washington.
L’espansione delle capacità di spionaggio in lingua ebraica dell’NSA indica che il Presidente degli Stati Uniti è determinato a non farsi sorprendere, poiché probabilmente si aspetta che uno scenario del genere coinvolga inevitabilmente le forze statunitensi.
Biden seguirà quindi le orme del suo mentore, il Presidente Barack Obama. Quest’ultimo ha architettato il Piano d’azione congiunto globale (Joint Comprehensive Plan of Action, JCOPA) del 2015, apparentemente per frenare le ambizioni nucleari di Teheran, ma altrettanto, se non più importante, per impedire a Israele di lanciare un’offensiva militare contro le strutture nucleari iraniane.
In sostanza, mentre Washington si accontenta di promettere solo verbalmente che l’Iran “non avrà mai la bomba”, il Presidente Biden, come Obama, ha fatto del contenimento di Israele la sua massima priorità e ha incaricato l’intelligence statunitense di vigilare su qualsiasi segnale che possa mettere in pericolo il suo obiettivo primario (tratto in parte da un articolo di Avigdor Haselkorn).