lavoratori palestinesi israele

Sono 25.000 i palestinesi che rischiano di perdere il loro posto di lavoro tra coloro che lavorano nelle aziende in Giudea e Samaria. A dirlo è stato ieri sera il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, in un incontro con gli ambasciatori europei.

Netanyahu ha tenuto però a precisare che questi licenziamenti non sono il frutto della crisi economica che sta attanagliando l’occidente (e non solo) ma che sono la conseguenza del crescente boicottaggio dei prodotti israeliani che provengono da Giudea e Samaria.

“I primi a perdere il lavoro a causa del boicottaggio saranno proprio i palestinesi che queste azioni spregevoli vorrebbero proteggere” ha detto Netanyahu agli ambasciatori europei. “Nei prossimi mesi molte aziende saranno costrette a licenziare un certo numero di operai – ha continuato il Premier israeliano – e i primi a essere licenziati saranno proprio i palestinesi”.

Sconcerto tra gli ambasciatori dell’Unione Europea. In Israele lavorano oltre 100.000 palestinesi che con le loro rimesse contribuiscono per il 35% del PIL palestinese. Un operaio palestinese che lavora per una azienda israeliana guadagna mediamente quattro volte di più di un palestinese che lavora in Cisgiordania e questo ha permesso loro di alzare notevolmente il loro potere d’acquisto contribuendo in questi anni a movimentare anche l’economia palestinese. Perdere un quarto della forza lavoro palestinese in Israele significa quindi dare un colpo durissimo all’economia della Cisgiordania. Paradossalmente quindi i vari boicottaggi dei prodotti israeliani danneggiano prima di tutti i palestinesi.

Secondo quanto detto da Netanyahu ieri sera, se non ci sarà un drastico cambiamento in tempi brevi entro la fine dell’anno le aziende israeliane che operano in Giudea e Samaria saranno costrette, loro malgrado, a licenziare 25.000 operai palestinesi con un danno per la Palestina e per la sua economia che al momento non è quantificabile ma che sarà senza dubbio devastante.

Sarah F.