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Da diversi anni, con alti e bassi, si parla di pace in Medio Oriente concentrando tutto il discorso sulla questione israelo-palestinese attribuendo a questo problema tutta la responsabilità dei mali regionali. Anche di recente con l’iniziativa di Papa Francesco si è accentrata l’attenzione sulla disputa tra Israele e Palestina quando invece i problemi sono ben altri.

Primo problema: la maggioranza degli stati regionali non riconosce Israele e lo vorrebbe vedere distrutto.

Questo è forse il problema principale. Tutti chiedono a Israele di dialogare con i propri nemici. Ma come si fa a dialogare con chi ti vuole distruggere? Anche gli stessi palestinesi, al di la delle parole, non intendono riconoscere Israele. E cosa può fare uno Stato costantemente minacciato di distruzione se non attrezzarsi per difendersi? In questo momento tra Gaza e il sud del Libano ci sono oltre 100.000 missili puntati su Israele. Serie minacce arrivano dalla volontà iraniana di dotarsi di armi nucleari e dal costante supporto degli Ayatollah al terrorismo internazionale. Gruppi di terroristi islamici legati ad Al Qaeda operano nelle alture del Golan e nella Penisola del Sinai, mentre Hezbollah dal Libano e Hamas dalla Striscia di Gaza minacciano costantemente la popolazione israeliana. Si può dialogare con queste persone?

Secondo problema: le operazioni difensive spacciate dai media per operazioni offensive

I media occidentali hanno un ruolo importante nel fomentare la spirale d’odio anti-israeliana. Nell’era della informazione digitale le parole hanno una importanza fondamentale. Se il muro difensivo che ha azzerato gli attentati in Israele diventa un muro di divisione si da una impressione completamente sbagliata. Se la deterrenza militare, indispensabile per la sopravvivenza di Israele, diventa una forza di occupazione il messaggio che si lancia è diametralmente opposto a quella che è la realtà. Se una reazione mirata dell’esercito israeliano dopo una pioggia di centinaia di missili da Gaza diventa un attacco militare contro la Striscia di Gaza si capovolge letteralmente la realtà. Se un checkpoint da mezzo di difesa indispensabile per salvare la vita di civili (come dimostra l’episodio di pochi giorni fa) si trasforma in ostacolo per la pace o addirittura in una punizione collettiva, qualcosa nella informazione dei media occidentali non funziona.

Terzo problema: chi attacca chi?

Dalla sua nascita Israele non ha mai attaccato un altro Stato se non per operazioni difensive. Ha restituito anche i territori occupati dopo guerre difensive (tranne le Alture del Golan). In compenso è stato costantemente attaccato e minacciato, sia con vere e proprie guerre che con ripetuti attacchi terroristici. I gruppi terroristici di Gaza e del Sud del Libano ricevono costantemente armi e denaro dagli stati arabi e dall’Iran con l’unico scopo di distruggere Israele. Nei mesi scorsi dalla Striscia di Gaza sono piovuti migliaia di missili su Israele, mentre Hezbollah ha ripetutamente tentato di portare le armi chimiche siriane in Libano con l’intenzione di usarle su Israele. Eppure queste cose vengono omesse mentre non appena scatta una operazione difensiva israeliana viene dato fiato alle trombe. E allora, chi attacca chi? Chi è che opera costantemente contro la pace?

Quarto problema: il problema che non c’è

Il problema dei problemi è quello che non esiste: la Palestina. Su questo aggettivo si è costruita una leggenda, si sono inventati milioni di profughi, campi profughi che sono vere e proprie città dotate di tutto, leggende metropolitane che di recente sono arrivate ad affermare addirittura che Gesù Cristo non era ebreo ma palestinese (e magari pure musulmano come arriva a dire qualcuno). Non lasciano in pace nemmeno i simboli delle altre religioni. Sulla Palestina si è costruito il più grosso business mondiale basato esclusivamente sull’odio. Dopo il nazismo il movimento palestinese è stato il veicolo d’odio anti-ebraico più potente, anzi, forse peggiore perché nato unicamente per questo scopo.

Quinto problema: la distrazione di massa dai problemi veri

Non so se qualcuno se ne è accorto, ma mentre si continua a parlare di conflitto israelo-palestinese tutto intorno i conflitti veri divampano. Centinaia di migliaia di morti in Siria, altrettanti in Iraq, la Libia nel caos più assoluto, l’Egitto che ha rischiato seriamente di finire nelle mani dell’estremismo islamico, la Turchia dove succede di tutto e di più, l’Iran che impicca centinaia di persone in barba alle promesse riformiste. E non parliamo del Libano, una vera e propria bomba a orologeria. Eppure sembra che l’epicentro di tutto sia il cosiddetto “conflitto israelo-palestinese”, l’unico conflitto che non è un conflitto. Che poi alla fine gli unici cosiddetti “palestinesi” (cosiddetti perché sono il frutto della fervida fantasia del UNRWA) che non godono di alcun Diritto sono quelli che abitano in Siria, Giordania, Libano e Iraq. Eppure di questi qui non se ne parla mai.

E allora, di cosa stiamo parlando quando si chiede la pace in Medio Oriente? Come si fa a parlare di pace quando si parte palesemente da presupposti sbagliati? Il Papa ha detto che “ci vuole coraggio per fare la pace”. Giusto, ma ci vuole molto coraggio anche a individuare onestamente quali sono i motivi che impediscono la pace. E se questi motivi non solo non si individuano ma si distorcono favorendo paradossalmente proprio chi la pace non la vuole, allora il danno è doppio. Dobbiamo quindi avere il coraggio di parlare di pace, ma prima ancora dobbiamo avere il coraggio di individuare chi e cosa veramente ostacola la pace, altrimenti quel traguardo non lo raggiungeremo mai. A meno che quando di chiede la pace in Medio Oriente non si intenda con questa frase l’annientamento di Israele. Ma a questo punto il discorso è molto diverso.

[glyphicon type=”user”] Scritto da Miriam Bolaffi

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