Martedì prossimo il Ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, sarà in visita in Libano per discutere con i terroristi di Hezbollah, fedeli alleati del regime iraniano, delle nuove prospettive aperte dall’accordo raggiunto con le potenze mondiali sul nucleare iraniano. Ne da notizia la TV di Hezbollah, Al-Manar.
Il piano di Zarif
Lo sblocco di centinaia di miliardi di dollari permetterà all’Iran di rifornire di armi e denaro i terroristi di Hezbollah attualmente impegnati nella guerra in Siria e in difficoltà nel confronto con lo Stato Islamico. La strenua difesa del regime siriano da parte di Hezbollah ha distolto momentaneamente i terroristi libanesi da quello che è il loro obbiettivo primario, cioè Israele. Zarif vuole che gli Hezbollah tornino velocemente alla preparazione della guerra contro Israele, ma per fare questo deve rifornirli di armi e denaro e, soprattutto, deve riuscire a sganciarli dal conflitto in Siria. Per raggiungere questo obbiettivo non ha altra strada che quella di coinvolgere direttamente (e ufficialmente n.d.r.) l’Iran in Siria permettendo a Hezbollah di rientrare “nei ranghi”. E’ questo uno dei punti principali discussi in questi giorni da Zarif con i vari leader mondiali, ed è uno dei punti a margine degli accordi sul nucleare iraniano. Ufficialmente l’Iran fornirà supporto alla guerra contro lo Stato Islamico, ufficiosamente Teheran intende inviare proprie truppe in Siria oltre a quelle che già ci sono, insufficienti però per salvaguardare il regime di Assad. Facendo questo gli Hezbollah potranno ritirarsi e tornare velocemente alla preparazione della guerra contro Israele.
Zarif lavora da diversi mesi a questo diabolico piano, l’unico in grado di calmierare i malumori dei pasdaran in merito all’accordo sul nucleare iraniano. Mettere un attacco a Israele sul piatto della bilancia era l’unico modo per convincere gli Ayatollah a rinunciare per un po’ di tempo (ma non definitivamente) alla bomba atomica. E proprio a questo ha instancabilmente lavorato Zarif in questi mesi. Nei giorni scorsi il cerchio si è chiuso quando Zarif ha formalmente ottenuto dalle grandi potenze, Stati Uniti in testa, la qualifica di “attore fondamentale nella lotta allo Stato Islamico”. Ed è impensabile che Teheran si sia impegnata nella lotta al Daesh senza mettere sul piatto il salvataggio di Assad con un coinvolgimento diretto dell’Iran approvato dalle controparti. Per questo martedì Zarif volerà a Beirut, per spiegare agli alleati il piano iraniano che prevede proprio l’impiego di forze di terra (e forse aeree) iraniane in Siria. Riuscire a portare l’esercito iraniano al confine con Israele e allo stesso tempo riuscire a salvare Assad con l’avvallo della politica internazionale è senza dubbio il capolavoro diplomatico di Zarif.
Malumori arabi contenuti per interesse
Anche per questo motivo i malumori espressi dai regimi arabi del Golfo in merito all’accordo sul nucleare iraniano sono stati fondamentalmente contenuti. E’ innegabile che la prospettiva di una guerra tra Israele e Iran, cioè tra i due maggiori nemici degli arabi, è servita a calmierare notevolmente le reazioni di Arabia Saudita, Qatar e gli altri regimi arabi. Nelle scorse settimane Amman, in Giordania, è stato il centro delle discussioni segrete tra inviati israeliani e inviati arabi in merito alle contromisure da prendere in seguito all’accordo sul nucleare iraniano. Ma Israele ha ottenuto risposte molto tiepide, quasi gelide. Sebbene gli arabi vedano l’accordo con l’Iran come fumo negli occhi non possono mostrare una linea politica che si avvicini a quella israeliana, se non altro per non scatenare proteste interne. Preferiscono decisamente riavvicinarsi ad Hamas per sottrarlo all’influenza iraniana e combattere l’espansionismo di Teheran in questo modo, piuttosto che mostrare un avvicinamento alle posizioni e alle preoccupazioni israeliane. Anzi, se tutto va bene se ne potrebbero persino avvantaggiare. Non è un caso che nei giorni scorsi il leader di Hamas, Khaled Meshaal, sia stato ricevuto dopo tanto tempo dal Re saudita, Salman. Un riavvicinamento piuttosto tempestivo dopo che per anni i sauditi avevano seguito la linea egiziana considerando Hamas un nemico e un gruppo terrorista. E’ una delle contromosse arabe all’offensiva diplomatica iraniana. E così Israele diventa non solo il nemico giurato di arabi e persiani, ma persino un prelibato bocconcino da mettere sul piatto dei giochi di potere in Medio Oriente.
Israele sacrificato da Obama
Obama aveva una sola possibilità per arrivare a un accordo con l’Iran e allo stesso tempo mantenere buoni rapporti con gli storici alleati arabi e con la Turchia: vendere Israele e la sua sicurezza. E non ci ha pensato un attimo a farlo nonostante le ripetute rassicurazioni. La vendita di armi avanzate ai regimi del Golfo rientra nell’ottica di rassicurare gli arabi in merito all’espansionismo iraniano e allo stesso tempo garantire agli stessi arabi la possibilità di attuare una forte pressione su Israele. Non a caso proprio ieri Hamas ha annunciato che non farà una nuova guerra contro Israele fino a quando non disporrà di armi che gli permettano di abbattere gli aerei israeliani, guarda caso proprio una parte di quelle armi promesse da Kerry al Qatar e all’Arabia Saudita. Un caso? Non si direbbe proprio. La follia del Presidente americano si dimostra ogni giorno più evidente.
Le contromosse israeliane
Israele non sta comunque con le mani in mano. L’obbiettivo principale è quello di far saltare il banco facendo fallire l’elaborato piano iraniano (e arabo) attraverso il Congresso americano. Se i senatori americani non approveranno l’accordo sul nucleare iraniano tutto il piano studiato da Zarif e le contromosse arabe andranno a farsi benedire. Per questo Israele è impegnato a convincere i senatori americani democratici ancora indecisi (con i repubblicani non ci dovrebbero essere problemi) a non approvare l’accordo con l’Iran. Per aggirare il veto presidenziale servono i tre quarti del Congresso e i voti repubblicani non bastano. In background Israele sta lavorando con gli arabi moderati, in particolare Egitto e Giordania, per evitare che in caso di conflitto con gli Hezbollah e quindi con l’Iran, i palestinesi non ne approfittino per aprire anche i fronti di Gaza e della West Bank. Gli analisti israeliani danno infatti per scontato un conflitto con Hezbollah, ma un conto è combattere su un solo fronte (oltretutto difficilissimo come quello libanese), un conto è essere impegnati su più fronti. Ed effettivamente Hamas ne potrebbe approfittare se ben ben rifornito di armi e sostenuto diplomaticamente. Ma convincere gli arabi a non approfittare di questa occasione non è certo un lavoro facile. I lavori sono però in corso.
Conclusioni
A dispetto degli ottimisti la situazione che sta vivendo Israele è molto complessa e pericolosa. I pericoli sono dannatamente aumentati e l’isolamento diplomatico si è accentuato. A Gerusalemme c’è la convinzione, corroborata dai fatti, che il piccolo Stato Ebraico, unica democrazia in Medio Oriente, sia l’agnello sacrificale della politica americana ed in particolare di Obama. E’ difficile per gli americani riuscire a stare con i piedi su due staffe, quelle sciite iraniane e quelle sunnite arabe, e per farlo l’unico sistema è vendere Israele, cioè l’unica preda ambita da ambo le parti. Obama pensa che per fermare il bagno di sangue nel mondo islamico l’unico sistema sia quello di sacrificare Israele e ha improntato tutta la sua politica su questo punto. Continuare a negarlo è come violentare la verità.
Analisi scritta da Maurizia De Groot Vos e Paola P.