Decine di famiglie di cristiani stanno lasciando la penisola del Sinai, in Egitto, dopo che nei giorni scorsi la comunità cristiana è stata vittima di diversi cruenti attacchi da parte di affigliati a ISIS che hanno portato alla morte di almeno sei cristiani copti residenti nel Sinai.

Secondo fonti di stampa sarebbero almeno 200 le famiglie di cristiani in fuga dal Sinai, praticamente le poche rimaste dopo la caccia al cristiano di un paio di anni fa che fece fuggire la comunità copta dalla penisola del Sinai per rifugiarsi in altre parti dell’Egitto e persino all’estero.

Se ne è parlato poco durante questi due anni, ma la vita per i cristiani copti non è facile da nessuna parte in Egitto. E’ vero che nel Sinai la cosa è più evidente a causa della presenza di ISIS ma circoscrivere il problema a quel lembo di terra è riduttivo. I cristiani copti in Egitto sono palesemente discriminati, non trovano lavoro a causa della loro religione, le chiese continuano a bruciare nonostante le rassicurazioni di Al Sisi che però non sta facendo nulla per fermare il fenomeno.

Alcuni cristiani in fuga dal Sinai si sono rifugiati a Ismailiya, sul Canale di Suez, trovando riparo nella locale chiesa copta, ma è quasi impossibile parlare con loro. La paura è evidente e non è solo paura del ISIS. Uno di loro parlando a condizione di anonimato racconta che i cristiani in Egitto hanno paura della loro stessa ombra. Ci sono zone in Egitto dove i cristiani hanno paura persino di aprire la porta o di uscire per fare la spesa. Una donna racconta che il marito non lavora da due anni a causa del suo credo religioso.

Un problema volutamente oscurato in Egitto e ignorato in occidente

Quello della discriminazione dei cristiani copti in Egitto è un problema che gli egiziani tentano volutamente di oscurare per non mettere in cattiva luce il Governo di Al Sisi mentre l’occidente lo ignora completamente o quanto meno se ne disinteressa. Ufficialmente la chiesa copta afferma che “va tutto bene” e che “non ci sono attriti tra la comunità cristiana e i musulmani”. In realtà, specie fuori dalle grandi città, il problema c’è eccome. La Fratellanza Musulmana, ancora potentissima in Egitto nonostante sia stata messa fuorilegge, detesta i cristiani perché ritiene che abbiano appoggiato l’ascesa di Al Sisi al Governo e li discrimina più oggi di quanto non abbia mai fatto in passato. Voci di attacchi contro i cristiani arrivano dalla Nubia ma soprattutto dall’Alto Egitto (Upper Egypt) dove la comunità cristiana ha resistito alle precedenti persecuzioni. Non si tratta di episodi isolati ma di una vera e propria strategia. Peccato che pur di non affrontare seriamente il problema tutti facciano finta che va tutto bene. Nessuno, né in Egitto né tanto meno in occidente, si sogna di parlare di persecuzione islamica dei cristiani. Non è politicamente corretto farlo ed è molto meglio non far arrabbiare i tanti adepti della Fratellanza Musulmana in occidente. Per capire come vanno le cose basta guardare a quello che è successo alla fine di Gennaio in Canada quando a seguito di un attacco contro una moschea si è subito parlato di “attacco anti-islamico”, un termine certamente appropriato in quel contesto ma che non viene mai applicato a parti invertite quando cioè ad essere attaccati dai musulmani sono i cristiani o gli ebrei, come è successo pochi giorni fa in Francia. L’informazione non fa il suo dovere e cerca di oscurare quello che è evidente a tutti, sia in Egitto che in altri Paesi musulmani ma che, proprio a causa di questa stortura della informazione, in occidente quasi tutti ignorano. Se ne parla poco (pochissimo) solo in occasione di persecuzioni eclatanti come quelle dei giorni scorsi nel Sinai, ma su tutto il resto c’è una pesante cappa di omertà nonostante i dati sulla persecuzione dei cristiani in Medio Oriente siano impietosi.

Troppo comodo ridurre tutto a sporadici attacchi del ISIS che spingono i cristiani alla fuga dal Sinai, quella è solo la punta dell’iceberg della persecuzione dei cristiani in Medio Oriente. Fa gioco attribuire tutte le colpe allo Stato Islamico quando il fenomeno è ben più diffuso sia in Egitto che in altri Stati musulmani. Forse sarebbe ora di affrontare il problema con meno superficialità, anche da parte dei media che sono tenuti a informare puntualmente su tutto non solo su una parte di quel problema.

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