Quando ho iniziato a fare informazione e quindi a combattere la disinformazione si usava Windows 98, giusto per ricordare con un esempio calzante quanta acqua è passata sotto i ponti del web.
Oggi abbiamo Windows 11 (anche se io ormai da oltre un decennio uso Linux) ma in tutti questi anni la disinformazione e il suo modo di agire non è cambiato, anzi, è diventata un’arma molto appuntita e potente.
Già allora chi si interessava di web come lavoro (erano i primi anni) aveva capito il potenziale della disinformazione e come la stessa potesse convincere le persone, non necessariamente con una mente fragile, che il bianco fosse nero e che il nero, al contrario, fosse bianco.
Noi che da anni scriviamo di Medio Oriente e soprattutto di Israele sappiamo benissimo cosa può fare la disinformazione, specie se abbinata al fanatismo.
Oggi che le informazioni viaggiano a velocità altissime le fake news – parte importante della disinformazione – diventano un’arma potentissima nelle mani di coloro che scientemente scelgono di disinformare piuttosto che informare.
Ci sono molte ragioni per cui lo fanno. La politica la fa da padrona, ma anche l’antisemitismo, il razzismo, le cosiddette “cause sociali” e recentemente il COVID.
Quasi sempre lo fanno per denaro e c’è chi ci ha costruito fortune in denaro e in potere politico.
Disinformare è molto più facile che informare. Non c’è bisogno di cercare le fonti, di verificarle, di analizzare e infine di scrivere qualcosa di ragionato.
Per coloro che disinformano sarà sufficiente cambiare la storia, renderla credibile inventandosi presunti “esperti” o presunte “fonti attendibili” e il gioco è fatto. Tanto i destinatari della disinformazione non faranno mai verifiche, non faranno controlli. Spesso non andranno oltre il titolo o il meme.
Negli ultimi anni, dopo che il mondo si è reso conto dei danni che può creare la disinformazione, sono nati i siti di fact-checking, cioè di verifica dei fatti e i siti antibufala come BUTAC e altri, cioè quei siti web che scovano le bufale e le denunciano.
Ma la disinformazione viaggia più veloce proprio perché verificare i fatti o scovare una bufala richiede tempo e nel mentre i click e i like crescono e i deboli ci cadono facilmente, si convincono, condividono e se poco poco provi a cercare di far loro capire l’errore ti ritrovi facilmente etichettato come “popolo bue” o addirittura come fascista al soldo di chissà chi.
Il problema è che non esiste nulla di legale che punisca chi disinforma, che non sempre sono singoli personaggi ma che sempre più spesso sono testate giornalistiche e persino televisioni che nel momento in cui invitano in varie trasmissioni personaggi che disinformano, a loro volta disinformano o contribuiscono alla disinformazione.
Chiaramente non si tratta di fare in modo che l’informazione sia a senso unico, anzi, si tratta di fare in modo che l’informazione sia il più pluralista possibile ma che sia attendibile.
In sostanza, si tratta di trovare una formula che pur nel rispetto del pluralismo della informazione punisca in maniera veloce e significativa chi deliberatamente diffonde notizie false per trarne un qualche tipo di guadagno, che sia pecuniario o politico.
Ho evidenziato “deliberatamente” perché il fatto che una testata giornalistica dia per errore una notizia falsa o errata rientra nella casistica dell’errore in buona fede. Ma quello a cui stiamo assistendo di recente specialmente nel campo della informazione sul COVID o sul green pass non è “buona fede”, non sono casi isolati. Ci troviamo di fronte a testate giornalistiche che disinformano scientemente, cioè usano la disinformazione come linea editoriale.
Non so quanto tutto questo possa rientrare nella libertà di stampa sancita dall’Articolo 21 della Costituzione. Non so se in momento del genere con il COVID che ancora nel mondo uccide centinaia di migliaia di persone si possa lasciare campo libero alla deliberata disinformazione.
Vorrei che ci fosse qualcosa che punisca la disinformazione così come viene punito l’aggiotaggio in borsa. Insomma, vorrei che chi disinforma per un qualche tipo di guadagno venisse punito, no che venga invitato in TV.