Per domani, come annunciato, è prevista una riunione d’emergenza della Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC) a Istanbul, riunione convocata e voluta fortemente da Erdogan che non ha nessuna intenzione di mollare l’osso, cioè la grande opportunità che gli è stata data dal riconoscimento americano di Gerusalemme capitale di Israele.

Erdogan non ha chiarito ufficialmente i motivi della convocazione d’urgenza della Organizzazione per la cooperazione islamica ma lo ha fatto per lui il vice premier turco, Bekir Bozdag, il quale parlando alla stampa ha detto che «una semplice condanna delle azioni di Trump non sarà sufficiente». Bekir Bozdag ha detto che il Presidente turco vuole di più e ha avanzato l’ipotesi di un riconoscimento della Palestina sui confini del 67 con Gerusalemme Est come capitale, un po’ come aveva già richiesto qualche giorno fa la Lega Araba.

Più chiaro ancora il Ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu: «Che tipo di sanzioni potete imporre agli Stati Uniti? Ci aspettiamo che gli Stati Uniti correggano il loro errore: riconosciamo Gerusalemme Est come la capitale della Palestina con i confini del 1967. Questo sarà scritto nel testo di domani», ha detto Cauvusoglu a un’emittente privata turca.

A quanto sembra non parteciperanno alla riunione né i sauditi né gli egiziani e questo toglierebbe molta forza alla dichiarazione della OIC. Non è sicura nemmeno la partecipazione degli Emirati Arabi Uniti che comunque, qualora partecipassero, invierebbero una delegazione ministeriale di basso profilo.

L’obiettivo di Erdogan

Il vero obiettivo di Erdogan è palesemente quello di sfruttare l’opportunità fornitagli su un piatto d’argento dalla dichiarazione del Presidente Trump, cioè di mettere in difficoltà sauditi ed egiziani nonché di proporsi come guida e baluardo di difesa del mondo islamico partendo proprio dalla causa palestinese e da Gerusalemme.

«L’intero mondo islamico – se esiste un tale concetto – è impegnato solo nello sfruttamento emotivo della sua gente, ed è quello che ora sta facendo la Turchia» ha detto Levent Gultekin, autore, giornalista ed ex islamista, in una intervista a Middle East Eye. «Gridare a voce alta e fare minacce senza alcuna azione reale non costa nulla. I sauditi, gli iraniani, i turchi, tutti hanno gridato e fatto le stesse minacce per 50-60 anni senza alcun risultato. Si chiama ipocrisia» ha detto ancora Gultenik nel ribadire il concetto che vuole Erdogan impegnato a sfruttare il momento per rilanciarsi come leader del mondo musulmano ma in sostanza con poche probabilità di passare dalle parole ai fatti.

Il problema è che le parole spesso uccidono. Le accuse gratuite di Erdogan a Israele non fanno altro che istigare e incitare all’odio anti-ebraico. Le violenze a cui assistiamo in questi giorni in Giudea e Samaria e a Gaza sono il frutto delle parole dei leader musulmani non delle decisioni di Trump. Ed Erdogan è tra i maggiori responsabili di tale esplosione di violenza. E c’è da star certi che non mollerà l’osso tanto facilmente. Su questo si dovrebbero concentrare i politicanti europei invece di prendersela con Trump o con Israele.