Il piano di pace americano per il Medio Oriente che questo mese dovrebbe iniziare a prendere forma in una conferenza organizzata in Bahrain, è sotto certi aspetti rivoluzionario. Per la prima volta infatti non si parlerà di confini, insediamenti o altro, ma si parlerà di sviluppo palestinese.
La linea scelta dal presidente Trump e dai suoi negoziatori, Jared Kushner e Jason Greenblatt, capovolge gli usuali fattori sin qui adottati e mette in primo piano il benessere dei palestinesi in luogo delle trame politiche e di interesse della dirigenza palestinese.
Per usare una terminologia cara al Presidente americano si potrebbe affermare che lo slogan dovrebbe essere “prima i palestinesi”.
Il piano prevede infatti investimenti nella cosiddetta Palestina per svariate decine di miliardi, denaro per lo più di provenienza araba, investimenti che però sono mirati esclusivamente a migliorare la condizione di vita della gente attraverso un politica economica e di sviluppo che nel giro di pochi anni dovrebbe portare la regione palestinese fuori dall’alveo di estrema povertà dove è stata relegata da oltre 70 anni di politiche sbagliate, corruzione e ideologie ormai ampiamente superate dalla storia.
Con una simile prospettiva qualsiasi leadership del mondo sarebbe più che felice di accogliere il piano e di partecipare con entusiasmo alla sua implementazione. Ma non quella palestinese, che infatti nemmeno ci sarà in Bahrain.
“Prima i palestinesi” non piace ai dirigenti palestinesi
«Le aspirazioni nazionali vengono prima dello sviluppo economico». Con queste parole l’Autorità Nazionale Palestinese ha liquidato le critiche ad essa rivolte per la decisione di non partecipare al convegno in Bahrain.
Il più critico di tutti è stato l’ambasciatore americano in Israele, Jason Greenblatt, il quale attraverso un editoriale pubblicato sul sito web della CNN ha accusato la dirigenza palestinese di perdere una storica occasione di fare il bene del suo popolo.
In particolare Greenblatt ha accusato il più importante negoziatore palestinese, Saeb Erekat, di aver fatto pressione sugli imprenditori palestinesi affinché boicottassero la conferenza in Bahrain, accusandolo apertamente di rinunciare ad una opportunità storica solo per una ideologia ormai fuori dal tempo e, probabilmente, per mantenere le cose invariate e continuare così a beneficiare del “business palestinese” degli aiuti senza controllo.
Perché il piano americano non può funzionare
Il piano di pace americano per il Medio Oriente è talmente fatto bene per la popolazione palestinese che non può funzionare, perché se solo funzionasse sarebbero proprio i palestinesi a giovarsene e capirebbero quanto sia corrotta la loro dirigenza, interessata solo a incamerare denaro e non al vero benessere dei palestinesi.
Per questo il piano americano viene boicottato prima ancora che se ne conoscano i dettagli, perché metterebbe in un angolo la corrotta dirigenza palestinese e mostrerebbe una via alternativa alla pace, una via fatta di benessere generalizzato e non concentrato in poche mani.
Tutte quelle questioni che per oltre 70 anni hanno contribuito a mantenere in piedi un sistema che ha prodotto solo odio, andrebbero a cadere in un sol colpo e questo vorrebbe dire la fine della Autorità Palestinese così come la conosciamo.
Davvero possiamo credere (e sperare) che la dirigenza palestinese faccia un passo indietro per il bene del suo popolo?
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