La nuova guerra immaginata dal Pentagono è con la Cina non con l’Iran

New York, Rights Reporter – Lo scorso 23 marzo il Pentagono ha presentato la sua proposta di bilancio per l’anno fiscale 2020, un mostro da 750 miliardi di dollari che delinea con una certa chiarezza quale sarà la linea della difesa americana nei prossimi anni.

Basta con la guerra al terrorismo – Il piano strategico di difesa a medio-lungo termine scritto a suo tempo dal Segretario alla Difesa Patrick Shanahan riprende quello scritto per il 2018 e sostanzialmente lo fa suo.

In quel piano si legge tra le righe che la cosiddetta “guerra al terrorismo” voluta dalle precedenti amministrazioni non solo non ha dato i frutti sperati ma che, anzi, in molti casi ha contribuito a creare situazioni che nel complesso hanno peggiorato il quadro geopolitico delle aree interessate ed ha in qualche modo contribuito a peggiorare il sentimento anti-americano finendo per avvantaggiare proprio quel terrorismo che si voleva combattere. Tradotto: la cosiddetta “guerra al terrorismo” non ha funzionato come doveva e come si sperava.

Le recenti tensioni con l’Iran che hanno portato il presidente Trump a decidere l’invio di navi da guerra nel Golfo Persico sono, secondo diversi analisti sentiti da RR, solo un “esercizio di potenza” e un’arma di pressione legati alla vecchia e fallimentare strategia della guerra al terrorismo ma che molto difficilmente porteranno ad una guerra con l’Iran.

Sul tavolo del Presidente Trump ci sono infatti decine di rapporti secondo i quali una guerra contro gli Ayatollah difficilmente porterà a un cambio di potere in Iran mentre con certezza quasi matematica porterà distruzione ed enormi disagi per le popolazioni coinvolte finendo per alimentare ancora di più l’odio contro l’America. Una situazione purtroppo già vista.

Per il Pentagono il rischio nel medio e lungo periodo per gli Stati Uniti non è l’Iran ma sono la Russia e soprattutto la Cina. Per questo motivo la proposta di bilancio per l’esercizio 2020 presentata dal Pentagono prevede che buona parte dei fondi richiesti siano destinati alla preparazione di una guerra tra grandi potenze che contempla un ampio uso di alta tecnologia.

Questa visione del Pentano era già stata spiegata al Comitato dei Servizi Armati del Senato nell’aprile 2018 dall’allora Segretario alla Difesa Jim Mattis.

Parlando ai senatori, Jim Mattis affermò che il lungo periodo dedicato alla cosiddetta “guerra al terrorismo” (quasi 18 anni) aveva minato le capacità belliche degli Stati Uniti e in qualche modo ne aveva bloccato lo “sviluppo militare” avvantaggiando i rivali.

«I nostri rivali – disse Matis ai senatori – hanno usato questi anni per investire in capacità militari intese a erodere in modo significativo il vantaggio dell’America nella tecnologia avanzata. La Cina sta modernizzando le sue forze militari convenzionali in una misura che sfiderà la superiorità militare statunitense».

La guerra immaginata dal Pentagono

Al Pentagono sono ossessionati dal rischio di una guerra con la Cina che prenda il via dalle tensioni già alte nel Mar cinese.

Se un tale conflitto ad alta intensità dovesse scoppiare, i leader del Pentagono ritengono che sarebbe probabile uno scontro simultaneo in tutti i campi di combattimento – aria, mare, terra, spazio e ciberspazio – e comporterebbe l’utilizzo diffuso di tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale (AI), la robotica e la guerra cibernetica.

È per prepararsi a tali impegni “multi-dominio” che il bilancio 2020 comprende 58 miliardi di dollari per aeromobili avanzati, 35 miliardi di dollari per nuove navi da guerra – la più grande richiesta di costruzione navale da oltre 20 anni – insieme a 14 miliardi di dollari per sistemi spaziali, 10 miliardi di dollari per la guerra cibernetica, 4,6 miliardi di dollari per sistemi AI e autonomi e 2,6 miliardi di dollari per armi ipersoniche.

Concentrarsi sulle sfide globali e non più sulle guerre regionali

In sostanza al Pentagono ritengono che gli Stati Uniti dovrebbero concentrarsi molto di più sulle sfide globali piuttosto che sulle guerre regionali le quali possono essere facilmente affrontate dagli alleati regionali degli USA (Israele e Arabia Saudita per quanto riguarda il Medio Oriente), magari con un “appoggio esterno” americano.

L’ammiraglio Philip Davidson, comandante di quello che è ora noto come il comando indo-pacifico degli Stati Uniti, o USINDOPACOM, in una testimonianza davanti al Congresso nel febbraio 2019 descrive bene le preoccupazioni del Pentagono.

«I nostri avversari stanno mettendo in campo sistemi avanzati anti-intrusione/area denial (A2/AD) systems, aerei avanzati, navi e capacità cibernetiche che minacciano la capacità degli Stati Uniti di programmare il potere e l’influenza nella regione» ha detto l’ammiraglio Davidson ai senatori aggiungendo che «per superare tali capacità gli Stati Uniti devono sviluppare e distribuire una serie di sistemi di attacco a lungo raggio insieme a sistemi avanzati di difesa missilistica in grado di rilevare, tracciare e rendere innocue minacce avanzate aeree, da crociera, balistiche e ipersoniche».

Leggendo i documenti del Pentagono e le testimonianze davanti alla Commissione Difesa appare chiaro come, soprattutto l’aviazione e la marina, ritengano che occorra concentrarsi su un futuro scoppio di guerra in cui le forze americane non siano più focalizzate sul terrorismo o sul Medio Oriente, ma che impieghino le loro armi più sofisticate per affrontare e sopraffare le forze modernizzate della Cina (o della Russia).

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