Qualche tempo fa durante un convegno sul Medio Oriente tenutosi a Washington, il Direttore del Brookings Doha Center, Shadi Hamid, parlò per la prima volta di “sindrome irachena” che non è la sindrome del Golfo che colpisce i militari americani di ritorno dalla guerra, ma è la paura che attanaglia l’amministrazione americana ogni qualvolta venga richiesto un suo intervento armato anche se motivato da gravissime situazioni umanitarie. In sostanza, la “sindrome irachena” è la paura che hanno gli americani di rimanere impantanati come successo in Iraq.
I primi a pagarne il prezzo sono due Paesi posizionati su fronti diametralmente opposti: Israele e la Siria.
Israele da molti mesi minaccia un intervento armato contro le centrali nucleari iraniane, un intervento che però necessiterebbe dell’appoggio americano per ottenere un buon risultato finale. L’Amministrazione Americana si è sempre opposta a questo intervento ribattendo che “ancora c’è tempo per i negoziati prima che l’Iran arrivi ad avere la bomba atomica”. In effetti gli USA si rendono conto perfettamente che l’Iran è veramente ad un passo dall’ottenere la bomba atomica, ma la “sindrome irachena” blocca completamente ogni loro iniziativa. Il risultato è che Teheran, con l’imponente aiuto della Corea del Nord, non solo sta arrivando a dotarsi di armamento nucleare ma con l’appoggio a importanti gruppi terroristici (Hezbollah, Hamas, Jihad Islamica ecc. ecc.) destabilizza pesantemente tutto il Medio Oriente. A farne le spese proprio Israele che si trova da solo a contrastare sia la nuclearizzazione dell’Iran che le sue mira espansionistiche.
La Siria è sicuramente quella che, sotto l’aspetto prettamente umanitario, ha pagato più di tutti la “sindrome irachena” che attanaglia gli USA. Quando iniziò la rivolta siriana si disse che la linea rossa per un intervento militare sarebbe stata la soglia dei 5.000 morti civili. Oggi siamo a oltre 60.000 morti civili (qualcuno dice che siano 80.000) e quella “linea rossa” è sempre stata spostata in avanti fino ad arrivare all’uso delle armi chimiche come unica ragione per cui intervenire. Uno dei motivi per cui il Presidente Obama non ha mai preso in considerazione un intervento militare in Siria (nemmeno limitato a sole azioni aeree) è la paura, ventilata da diversi analisti americani, di rimanere impantanato in una guerra di tipo iracheno. Ed ecco quindi che la “sindrome irachena” colpisce di nuovo.
Ma indirettamente ci sono altre vittime della “sindrome irachena” che attanaglia l’Amministrazione Obama. La prima vittima è senza dubbio la cosiddetta “primavera araba”. Barack Obama, pur di non intervenire nelle rivolte che hanno scosso il mondo arabo, ha accettato di scendere a patti con la Fratellanza Musulmana, l’ha appoggiata, è arrivato persino a legittimarla come un “movimento islamico moderato” pur sapendo che così non era. Il risultato ce lo abbiamo davanti agli occhi in Egitto, in Tunisia e in Libia. In tutti questi Paesi, dove a comandare sono i Fratelli Musulmani, invece che andare verso una democratizzazione del sistema si è andati in senso opposto, cioè verso l’islamizzazione di quei sistemi che, sebbene governati da dittatori, erano laici. Regimi teocratici che si sostituiscono a regimi laici. Un deciso passo indietro, altro che un passo avanti.
Che dire poi dei diversi Paesi africani come la Somalia, il Mali, la Nigeria del Nord, il Sudan e tanti altri che progressivamente si stanno avviando verso un controllo da parte delle milizie islamiche? La Clinton, lo scorso anno, a ridosso della ennesima strage di cristiani in Nigeria, sostenne che con i terroristi bisognava trattare e non combatterli (per chi non si ricordasse questo è il link).
Resta comunque il Medio Oriente l’area che più risente della “sindrome irachena” e sarà sicuramente la zona che ne dovrà pagare il prezzo più alto per l’assurda politica imposta da Obama e dalle sue paure. Il sostanziale e più che evidente indebolimento degli Stati Uniti sta favorendo i gruppi terroristici e gli stati che li appoggiano. Oggi il Medio Oriente è una polveriera pronta a scoppiare e nessuno se ne rende conto continuando ad incentrare l’attenzione sull’insignificante “problema palestinese” invece che affrontare i problemi seri come l’Iran e i gruppi terroristici che Teheran appoggia. E anche questa assurdità è purtroppo ascrivibile a quella “sindrome irachena” di cui sempre più parlano gli analisti americani.
Riuscirà il prode Obama a vincere le sue paure e a iniziare a fare seriamente il Presidente Americano? Se le cose rimarranno così sicuramente no. Se invece le cose cambiassero improvvisamente (per esempio un attacco israeliano alle centrali iraniane) allora forse qualche possibilità che Obama rinsavisca ci potrebbe essere. Di sicuro a guadagnarne sarebbe la democrazia, questa parola che in Medio Oriente è ancora sconosciuta (a parte Israele) nonostante l’inganno delle “primavere arabe”. Speriamo ardentemente, ne va della sicurezza di tutto il mondo.
Adrian Niscemi