Mentre infuria la guerra in Ucraina, un altro conflitto è pronto a esplodere in Medio Oriente, dove gli Stati Uniti e i loro alleati affrontano l’Iran per il suo programma nucleare nonché la fornitura di droni alla Russia e la repressione delle proteste antigovernative.
Se gli Stati Uniti o Israele dovessero attaccare il principale impianto nucleare iraniano che produce combustibile nucleare di grado militare, l’Iran molto probabilmente si vendicherebbe usando il suo arsenale di droni e missili per chiudere lo Stretto di Hormuz, all’imboccatura del Golfo, attraverso il quale le petroliere trasportano quotidianamente quasi un quinto del petrolio e del gas mondiale.
Il confronto si è intensificato questa settimana quando l’Iran ha annunciato l’intenzione di produrre combustibile nucleare arricchito al 90% – e quindi a livello militare – nell’impianto di Fordow, situato all’interno di una montagna per proteggerlo dagli attacchi di bombe e missili.
L’Iran ha deciso di accellerare il suo programma nucleare dopo il fallimento dei colloqui per rilanciare l’accordo nucleare Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), concordato nel 2015 dal presidente Barack Obama ma abbandonato tre anni dopo dal presidente Donald Trump.
Escalation della crisi
Al centro dell’accordo c’era un’ampia riduzione delle sanzioni economiche sull’Iran in cambio del monitoraggio internazionale su di un programma nucleare iraniano ridotto, che secondo i leader israeliani e occidentali mira a produrre una bomba nucleare.
L’escalation della crisi è di fatto una ripresa del confronto iniziato tre anni fa tra Stati Uniti e Israele da una parte e Iran dall’altra, che ha quasi portato alla guerra.
Sotto la pressione delle sanzioni e con la minaccia di un attacco militare, l’Iran lanciò un attacco con droni e missili di grande successo contro le strutture petrolifere saudite, che per breve tempo dimezzò la produzione di petrolio.
L’Iran è stato ritenuto responsabile delle esplosioni che hanno danneggiato le petroliere ancorate all’imboccatura del Golfo e delle azioni di guerriglia contro le truppe statunitensi in Iraq. Trump si è vendicato ordinando l’assassinio del generale Qasem Soleimani, responsabile delle operazioni segrete iraniane all’estero, ucciso in un attacco di droni in Iraq all’inizio del 2020.
Ripristino dell’accordo nucleare
Il conflitto militare tra Stati Uniti e Iran ha sfiorato la guerra totale, ma si è fortemente attenuato con la sostituzione dell’aggressivo anti-iraniano Trump con il presidente Joe Biden, che ha riaperto i negoziati per il ripristino dell’accordo nucleare.
L’attenzione è stata distolta dall’Iran dalla pandemia di Covid-19, dalla competizione degli Stati Uniti con la Cina e dalla guerra in Ucraina. A settembre, l’Iran sembrava vicino a un nuovo accordo sul JCPOA, ma ha chiesto garanzie affinché gli Stati Uniti non si ritirassero di nuovo unilateralmente e l’esclusione dei Guardiani della Rivoluzione dalla lista dei gruppi terroristici.
Tuttavia, il mancato accordo sul nucleare è solo uno di una serie di eventi separati e non correlati che hanno riscaldato la crisi iraniana negli ultimi due mesi, rendendola più esplosiva che mai.
Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, era stato molto aggressivo sotto Trump, premendo per un attacco agli impianti nucleari iraniani. Dopo aver vinto con decisione le elezioni generali del 1° novembre, sta tornando al potere a Gerusalemme a capo del governo più falco e di destra della storia di Israele.
Da sempre oppositore del JCPOA è probabile che faccia pressione sugli Stati Uniti per un’azione militare contro l’Iran. Israele e gli Stati Uniti si sono addestrati per un attacco aereo contro l’Iran e Netanyahu è stato vicino a ordinarlo.
Una superpotenza dei droni
Altre due coincidenze stanno ulteriormente avvelenando le relazioni tra Teheran e Washington. Di fronte alla superiorità aerea degli Stati Uniti e dei loro alleati nel Golfo, l’Iran si è trasformato in quella che è stata definita “una superpotenza dei droni”, ma il mondo si è reso conto dell’efficacia di questi missili di precisione a basso costo solo quando l’Iran li ha esportati in Russia per usarli contro l’Ucraina.
Da ottobre, hanno parzialmente distrutto il sistema elettrico dell’Ucraina, privando gran parte del Paese di luce e riscaldamento. L’emergere a sorpresa dell’Iran come attore significativo nella guerra in Ucraina ha inasprito ulteriormente, se possibile, le sue relazioni già tossiche con l’Occidente.
Un ultimo ingrediente che alimenta la crescente crisi è il movimento di protesta in Iran, che non mostra segni di spegnimento, nonostante l’estrema repressione che ha portato all’uccisione di oltre 300 manifestanti, tra cui 41 bambini, secondo Amnesty International.
Le proteste hanno una base più ampia rispetto al passato e la punizione collettiva dei manifestanti serve solo a produrre altri martiri. Il rifiuto della squadra di calcio iraniana di cantare l’inno nazionale in Qatar dimostra la portata e la determinazione dell’opposizione.
Traffico di petroliere dal Golfo
Ma è ancora troppo presto per sapere se la protesta sta destabilizzando il regime e fino a che punto il governo potrebbe appellarsi con successo alla solidarietà nazionale in caso di crisi con gli Stati Uniti, cercando di demonizzare i manifestanti come procuratori di potenze straniere.
Il dissenso popolare indebolirà il regime iraniano, ma sotto altri aspetti è più forte di quanto non fosse tre anni fa quando si sfiorò la guerra.
Il prezzo del petrolio e del gas è alto e l’interruzione delle forniture degli Stati petroliferi del Golfo, oltre alla perdita di quelle della Russia, avrebbe un effetto paralizzante sull’economia mondiale.
E l’Iran riescirebbe meglio di prima a bloccare il traffico di petroliere dal Golfo grazie all’uso di droni e missili in grandi quantità contro i quali non esiste una difesa antiaerea totalmente efficace.
I leader occidentali e israeliani sostengono da tempo che il possesso di un’arma nucleare da parte dell’Iran altererebbe l’equilibrio di potere in Medio Oriente. Questo è abbastanza vero, anche se, secondo quanto riferito dall’intelligence statunitense, la leadership iraniana non ha ancora deciso se vuole costruire un’arma nucleare. Finora, la semplice minaccia di farlo è servita come utile merce di scambio nei negoziati con gli Stati Uniti e i loro alleati, che l’Iran vede come irrimediabilmente ostili.
Superiorità aerea
Paradossalmente, l’equilibrio di potere in Medio Oriente e nel resto del mondo è cambiato, ma non a causa dell’acquisizione di armi nucleari. Come dimostrano gli attacchi nel Golfo nel 2019 e in Ucraina da ottobre, gli Stati di medio livello come l’Iran e la Turchia, e persino quelli molto poveri come lo Yemen, godono ora di un campo di gioco militare molto più equo rispetto a Stati potenti come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna o Israele. La superiorità aerea non significa più controllo dei cieli, e questo è uno sviluppo che cambia le carte in tavola.
Ma fino a che punto coloro che decidono la guerra o la pace in Medio Oriente sono consapevoli che il gioco è davvero cambiato?
Gli Stati del Golfo come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti si sono resi conto, dopo gli ultimi scontri tra Stati Uniti e Iran sotto la presidenza Trump, di essere con molta probabilità un danno collaterale in qualsiasi attacco americano o israeliano all’Iran. Biden ha già il suo bel da fare con la guerra in Ucraina. Israele dovrebbe sapere che l’Iran troverebbe un modo asimmetrico per colpirlo.
Come nel caso dell’Ucraina, l’interesse personale di tutte le parti in causa dovrebbe impedire che la crisi sull’Iran si trasformi in una guerra totale, anche se questo non significa che non accadrà.
Ulteriori riflessioni
Uno studio sugli opinionisti politici che appaiono alla televisione statunitense ha scoperto che è più probabile che vengano invitati a tornare dall’emittente televisiva se sbagliano le loro previsioni piuttosto che se hanno ragione. Uno dei motivi per cui il commentatore che sbaglia viene reinvitato è che è categorico nelle sue opinioni. Non vedono le frecce che puntano confusamente in direzioni diverse, cosa che i veri esperti sono fin troppo inclini a fare.
Sospetto che sia il trionfo della “classe degli opinionisti” nella televisione statunitense a renderla così noiosa e disinformativa. Ciò che rende il tedio così irritante è che è del tutto inutile, dato che Washington è piena di veri esperti su quasi ogni cosa immaginabile. Ma pochi di loro si avvicinano a uno studio televisivo dove potrebbero dire cose allarmanti, inaspettate e interessanti.
Purtroppo, è questa stessa classe di opinionisti a decidere quali questioni sono importanti e quali no. Molti di coloro che un mese fa parlavano con cognizione di causa dell’inevitabile “onda rossa” e dello “tsunami repubblicano” nelle elezioni di midterm sono ora impegnati a definire l’agenda dei notiziari per la copertura delle elezioni presidenziali del 2024.
Si tratta di un’enorme perdita di tempo poiché, come è stato dimostrato più volte nelle passate elezioni presidenziali, nei prossimi due anni si verificheranno troppe cose perché i risultati delle elezioni di metà mandato possano essere una guida utile. Questo e altri punti sono discussi da James Fallows in questa rubrica.
Sotto il radar
L’elezione di Benjamin Netanyahu a prossimo primo ministro israeliano, a capo del governo più di destra della storia di Israele, dovrebbe suscitare un maggiore interesse intenzionale. Netanyahu ha normalizzato la presenza nei governi israeliani di fanatici etno-nazionalisti.
Ne è prova la nomina del leader di estrema destra Itamar Ben-Gvir a nuovo ministro della Sicurezza nazionale israeliana, responsabile, tra le altre cose, della Polizia di frontiera che opera in Cisgiordania. Un tempo seguace di Meir Kahane, il rabbino ultra-settario che voleva privare gli arabi israeliani della cittadinanza, Ben-Gvir era solito tenere in casa una foto di Baruch Goldtein che nel 1994 massacrò 29 palestinesi in una moschea di Hebron. Due settimane prima delle elezioni del 1° novembre, Ben-Gvir ha sventolato una pistola a Gerusalemme Est e ha incoraggiato la polizia ad aprire il fuoco contro i manifestanti palestinesi.
La sua nomina ha sconvolto molti israeliani ed ebrei americani. Il rabbino Rick Jacobs, capo della Union for Reform Judaism americana, ha dichiarato domenica che affidare a Ben-Gvir l’incarico è stato simile a “nominare David Duke, uno dei capi del KKK, come procuratore generale”. (dalla newsletter di Patrick Cockburn. Clicca qui per iscriverti).