Copio il titolo da un editoriale del New York Times perché per una volta stranamente l’organo di stampa ufficiale di Obama ha avuto il coraggio di sparare a zero su un grande amico del Presidente Americano, Recep Tayyip Erdogan.
L’editoriale, davvero molto critico e allarmante sulla situazione dei Diritti in Turchia e in particolare sulla libertà di stampa, non ha mancato di suscitare una reazione arrogante da parte di Erdogan che ieri ha risposto a modo suo ammonendo il New York Times di farsi sostanzialmente gli affari propri e di “stare al suo posto”.
Ma la situazione dei Diritti in Turchia è davvero così grave come descritto dal NYT oppure ha ragione Erdogan a dire che in Turchia c’è piena democrazia e che comunque lui è stato eletto dal popolo e quindi tutto gli è concesso?
Erdogan in realtà è stato realmente eletto dal popolo anche se il suo gradimento, secondo un sondaggio diffuso dalla Reuters, è molto sceso di recente. Tuttavia il Presidente turco confonde il voto popolare con l’autorizzazione a governare come se fosse un dittatore. Vincere una elezione non vuol dire essere autorizzati a stravolgere lo Stato di Diritto come ha fatto Erdogan da quando è salito al potere trasformando la laica Turchia in uno Stato confessionale islamico, imprigionando tutti gli oppositori, mettendo il bavaglio alla stampa a lui ostile e infine plasmando le leggi a suo uso e consumo. E ora punta dritto a fare tombola con la trasformazione della Turchia in uno Stato Presidenziale, fatto questo che accentrerebbe tutto il potere nelle sue mani. E se tanto mi da tanto, è molto probabile che ci riesca.
La strada della Turchia verso il califfato
Erdogan negli ultimi anni ha progressivamente ma inesorabilmente trasformato la Turchia da una nazione laica in uno stato islamico. Per farlo ha fatto leva sull’Islam più radicale, sempre più soffocato dal laicismo voluto dal fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kemal Ataturk, ma anche sulla mai sopita volontà degli islamiti turchi di rispolverare il vecchio impero ottomano. Il suo maldestro tentativo di proporsi al mondo come portavoce del cosiddetto “Islam moderato” è franato sulle ceneri della Fratellanza Musulmana, prima portata in auge dalle “primavere arabe” e poi prontamente cancellata sia in Egitto che in Tunisia nel momento in cui il popolo si è accorto che i Fratelli Musulmani erano peggio dei dittatori che li avevano preceduti. Ma questo fallimento non ha rallentato la corsa di Erdogan verso la creazione di un grande califfato islamico. Partendo dalle solide basi islamiste turche e approfittando dell’importanza geo-politica della Turchia, Erdogan si è ritagliato un ruolo (farlocco a dire il vero) di pontiere tra l’estremismo islamico e il cosiddetto Islam moderato, agevolato in tutto questo dalla miopia occidentale vogliosa di aprire un canale di comunicazione con gli islamici moderati e abbagliata dalle sirene dell’Islam politico. Il risultato è davanti agli occhi di chiunque abbia un minimo di buon senso per vedere la realtà. Oggi la Turchia è di fatto l’alleata regionale dello Stato Islamico e appare evidente come gli obbiettivi di al-Baghdadi e di Erdogan collimino senza mai collidere. E se ora Erdogan riuscirà ad accentrare tutto il potere nelle sue mani portando la Turchia verso un presidenzialismo totalitario, allora il sogno del califfato sarà diventato realtà. Nessuno lo potrà più fermare.
Tra meno di due settimane in Turchia si vota per il rinnovo del Parlamento e se, come è prevedibile, il partito di Erdogan dovesse ottenere la maggioranza non ci saranno più ostacoli per il Presidente turco verso la trasformazione della Turchia in una Repubblica presidenziale che, tradotto nel gergo di Erdogan, significa califfato. Nel frattempo non si contano i giornali di opposizione chiusi, i giornalisti arrestati, i social network oscurati e le repressioni violente dei contestatori. Ma tranquilli, siamo solo all’antipasto.
[glyphicon type=”user”] Scritto da Maurizia De Groot Vos
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