Ancora un ragazzino che soffocato dal suo “essere diverso” si toglie la vita. Ancora polemiche su una legge sulla omofobia che si sta facendo attendere troppo. Ancora polemiche sull’uso spregiudicato dei social network e su quello che la crudeltà umana e l’ignoranza hanno trasformato da un mezzo di conoscenza e comunicazione bellissimo in uno strumento di stalking globalizzato (Facebook).
La morte del ragazzino 14enne suicidatosi perché omosessuale e per questo deriso e abbandonato ha riaperto la discussione sull’urgenza di una legge sull’omofobia. Ma personalmente non credo affatto che tutto si possa risolvere con le poche righe di un DDL che sancisce sostanzialmente una categoria protetta. Lo dico perché quell’odio, quell’astio, quella ignoranza l’ho provata sulla mia pelle e credo che l’avrei provata anche se ci fosse stata una legge che avesse punito chi si rendeva colpevole di quell’odio e di quello scherno. E si, perché di questo si tratta quando si parla di legge contro la omofobia, di qualcosa che con la minaccia di una punizione dovrebbe (il condizionale e d’obbligo) evitare episodi di omofobia manifesta, di persecuzione psicologica verso chi è “diverso”, evitare attacchi fisici contro gli omosessuali e/o contro il diverso di genere.
Secondo me invece il problema non sta nel trovare una punizione adeguata contro chi si macchia di questi atti vigliacchi, o perlomeno non è il solo problema. Non si combatte l’ignoranza con il manganello delle leggi punitive, l’ignoranza si combatte con la conoscenza, con programmi educativi in cui si spiega ai ragazzi che l’omosessuale, la transessuale, il “diverso” non è affatto diverso, è un ragazzo o una ragazza come tutti gli altri, qualcuno in grado amare, di odiare, di gioire e soffrire come tutti gli altri, un essere umano e non una bestia o un abominio della natura.
Alla base dell’omofobia c’è l’ignoranza, spesso abbinata a una buona dose di cattiveria e a quella sensazione che il “normale” sia geneticamente migliore del “diverso”, un ariano del sesso . E allora se vogliamo combattere veramente questo vergognoso fenomeno chiamato omofobia non possiamo farlo solo per legge ma agire sulla cultura della società, agire alla base, dove il problema nasce. Dobbiamo raccontare ai giovani nelle scuole che io non sono diversa da nessuno, che quel ragazzino suicidatosi non era diverso da tanti suoi coetanei, che essere gay, transessuali o di un qualsiasi genere che non sia conforme allo stereotipo che la vecchia società ci ha imposto, non significa che i geni siano diversi o che si è meno umani.
E’ questa la vera battaglia contro l’omofobia che va combattuta. E sarà una battaglia durissima perché si andrà a scontrare con poteri fortissimi che non vorranno mai che si parli di omosessualità nelle scuole o nei circoli culturali, che non vorranno che si normalizzi quello che per la loro cultura razzista è un abominio della natura. Poi possiamo anche sbattere in galera l’omofobo o lo stalker seriale che agisce dietro vile anonimato su Facebook, ma se non cambiamo la cultura di base di questo Paese tra molti anni saremo ancora qui a piangere l’ennesimo ragazzino che si è buttato dalla finestra perché abbandonato da tutti al suo destino di “diverso”.
Paola P.
[box type=”info”] Paola P. – transessuale, blogger, scrittrice, studia scienze della comunicazione e collabora con Rights Reporter sulle tematiche delle differenze di genere [/box]
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