Palestina – Israele: Abu Mazen gioca la carta dei “crimini di guerra”

5 Dicembre 2012

Il Presidente della Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Abu Mazen, ha convocato per martedì prossimo una riunione dei più alti esponenti della ANP per discutere le mosse da adottare nei confronti delle ultime decisioni prese dal Governo israeliano riguardanti in particolari i piani di costruzione a Gerusalemme Est e il blocco delle rimesse.

In una nota inviata ai capi di Stato di mezzo mondo Abu Mazen fa sapere che, contrariamente a quanto affermato prima di ottenere il riconoscimento come “Stato osservatore all’Onu”, potrebbe decidere di rivolgersi alla Corte Penale Internazionale (CPI) e intentare una causa contro Israele per “presunti crimini di guerra”.

A parte che tutti sapevano ben prima di concedere lo status di osservatore alla Palestina che il vero obbiettivo di Abu Mazen era proprio questo, cioè avere la possibilità di rivolgersi al CPI, quello che lascia basiti è l’accusa di “crimini di guerra”. E’ chiaro che gli arabi non hanno ben chiaro il concetto che sta dietro a questa definizione. Anzi, considerando le leggi vigenti in tal senso gli unici che potrebbero essere accusati di crimini di guerra sono i miliziani di Fatah e, soprattutto, di Hamas, non solo per l’uso spregiudicato di civili come scudi umani, ma soprattutto perché i loro attacchi sono portati quasi esclusivamente contro obbiettivi civili e non vestono una divisa che possa distinguerli nettamente dalla popolazione civile in modo che “il nemico” possa facilmente individuarli così come previsto dalle leggi di guerra e dalla Convenzione di Ginevra.

Abu Mazen vorrebbe trasformare una disputa territoriale dove vi sono alcuni territori contesi in un crimine di guerra. Adottando lo stesso parametro si potrebbero accusare di crimini di guerra anche tanti altri Stati tra i quali, solo per citarne alcuni, la Turchia (disputa di Cipro e del Kurdistan), la Cina (disputa del Tibet), la Gran Bretagna (Irlanda del Nord e Isole Falkland), la Russia (Georgia, Cecenia ecc. ecc.) e se proprio si vuole essere fiscali persino la Francia (disputa sulla Corsica). Addirittura in molti di questi casi gli abitanti dei territori contesi vengono duramente perseguitati (è il caso del Tibet e del Kurdistan).

Si evince quindi che la richiesta/minaccia di Abu Mazen oltre a essere completamente strumentale è anche ridicola nella sua forma. Il problema è che per i cosiddetti “palestinesi” non valgono mai le regole internazionali, o meglio, valgono solo quando risultano utili alla loro causa che, non dimentichiamolo mai, non è la costituzione di uno Stato a fianco di quello ebraico ma è la distruzione di Israele. Non è escluso quindi che ancora una volta la comunità internazionale possa dare credito agli arabi. Ed è proprio su questo che probabilmente Abu Mazen fa affidamento, sulla cecità della comunità internazionale quando si parla di “palestinesi”.

Sharon Levi

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