Quando USA, Francia e Gran Bretagna insieme mettono nel mirino un regime islamico c’è sempre da tremare, la Libia insegna. Questo è il succo dei ragionamenti che ieri si facevano nei corridoi dell’intelligence israeliana.
La mente degli analisti israeliani è sempre concentrata su un mantra ormai decennale: «cosa è bene e cosa è male per Israele». Tutto il resto non conta. E in merito a quello che sembra un imminente attacco occidentale alla Siria gli analisti israeliani sono divisi tra coloro che ci vedono una buona possibilità per cacciare gli iraniani fuori dalla Siria, che poi è il problema maggiore per Gerusalemme, e tra coloro che invece temono un peggioramento della situazione con la Russia che per difendere Assad potrebbe cambiare il suo approccio con Israele e i suoi “raid preventivi” sui cieli siriani.
Fino ad oggi Putin è rimasto sostanzialmente immobile di fronte agli attacchi preventivi israeliani in Siria. A parte il coordinamento tra Russia e Israele che fino ad ora ha funzionato bene per evitare incidenti tra le due aviazioni, fino ad oggi nessuna batteria missilistica russa ha sparato un solo colpo contro l’aviazione israeliana e non è un fattore da sottovalutare perché un conto è andare contro le difese siriane e un conto è andare contro quelle russe.
Una ulteriore escalation in Siria potrebbe voler dire la fine del coordinamento tra Russia e Israele e considerando che a Gerusalemme preferiscono colpire direttamente e non delegare la propria difesa ad altri, non sarebbe una buona notizia per gli israeliani i quali guardano con sospetto soprattutto questa improvvisa voglia francese di menar le mani.
Cosa è bene e cosa è male per Israele? Eccolo ancora il vecchio mantra della intelligence israeliana. E’ bene per Israele che la Russia diventi più attiva sul fronte della difesa del regime di Assad o è un male? A cosa potrebbe portare una ulteriore escalation in Siria? Un cambio di regime è davvero poco probabile, quindi a che pro USA, Francia e Gran Bretagna colpirebbero la Siria? Per punire Assad dell’uso di armi chimiche? Dopo oltre mezzo milione di morti e milioni di sfollati sembra un intervento un po’ tardivo e senza nessun fine specifico se non quello di affermare un concetto, giustissimo beninteso, che è quello della cosiddetta “linea rossa” sull’uso di armi di distruzione di massa.
Apparentemente Israele appoggia la decisione americana e francese di “punire” Assad. In una insolita dichiarazione del Ministero degli Esteri israeliano pubblicata lunedì si afferma che «l’attacco chimico a Douma dimostra come la Siria continua a detenere armi chimiche letali e che continua persino la loro produzione». Al Ministero degli Esteri israeliano temono giustamente che il sostegno diplomatico russo alle malefatte di Assad possa essere interpretato dal regime siriano (e dagli iraniani) come una legittimazione all’uso di armi chimiche anche contro Israele. Ma sotto sotto gli israeliani sono preoccupati dalla possibilità più che concreta che a seguito di una escalation in Siria venga a cadere quell’accordo con Putin che permette loro di agire quasi liberamente in Siria contro Hezbollah e gli avamposti iraniani.
Cosa è bene e cosa è male per Israele? E’ bene riaffermare il concetto della linea invalicabile sull’uso di armi di distruzione di massa ma perdere per questo la capacità di intervento in Siria, oppure sarebbe meglio far finta di niente ma far passare l’idea che Assad (e con lui gli iraniani) possano usare impunemente armi chimiche con la seria possibilità che un domani le possano usare anche contro Israele? E’ questo il dilemma che attanaglia l’intelligence israeliana tenuta a dare risposte immediate e credibili al Governo di Gerusalemme.