Questione palestinese: per gli USA è di secondaria importanza

4 Marzo 2013

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Gli Stati Uniti stanno finalmente cambiando la loro politica in Medio Oriente? Stanno finalmente rivedendo i loro recenti errori? Sembrerebbe in parte essere così, almeno da quando alla guida del Dipartimento di Stato è arrivato John  Kerry.

Il neo Segretario di Stato americano è stato insolitamente durissimo con il leader turco, Recep Tayyip Erdogan, dopo che questi nei giorni scorsi aveva paragonato il sionismo al nazismo e al fascismo. Pare essere più concentrato sugli errori commessi dalla prima amministrazione Obama quando durante le cosiddette “primavere arabe” si è deciso di appoggiare, più o meno velatamente, l’avvento della Fratellanza Musulmana, giudicata a torto una “forza islamica moderata”. Kerry sembra essere anche più attento e meno propenso a negoziare sul vitale problema della bomba iraniana. Sulla Siria si è assistito finalmente a qualche passo avanti verso l’abbattimento del regime di Assad. Ma quella che sembra essere la svolta più importante è quella di aver dato alla questione palestinese la reale importanza che ha, cioè una importanza del tutto secondaria.

D’altra parte con tutto quello che avviene in Medio Oriente e con gli scenari futuri che purtroppo si prospettano non poteva che essere così. La questione palestinese fino ad oggi è stata il volano dell’odio anti-israeliano, la scusa per tenere continuamente sotto attacco Israele da parte del variegato mondo antisemita, un formidabile mezzo di pressione in mano ai Paesi Arabi. Se fino ad oggi gli arabi non hanno voluto risolvere definitivamente la questione palestinese (e ne hanno avute di opportunità per farlo) è stato proprio per questo motivo. A questo aggiungiamoci l’incredibile e assurdo giro di denaro (in aiuti) che circonda tutto quello che è “palestinese” ed è chiaro che gli unici a beneficiare del fatto che la questione palestinese non venga risolta sono proprio gli arabi.

Ora però, come detto, qualcosa sta cambiando. Nelle riunioni alla Casa Bianca, nei think tank americani, nei forum e nei simposium non si parla più di “questione palestinese” o perlomeno lo si fa in maniera diversa. Adesso le priorità sono ben altre. Iran e Siria sono in primo piano. Subito dopo le conseguenze delle “primavere arabe”. E poi, anche se all’apparenza con il Medio Oriente c’entra poco, l’espansione del terrorismo islamico in Africa, che però influenza non poco anche il fiorente mercato delle armi medio-orientale. Lo stesso Kerry, in un incontro avvenuto una decina di giorni fa con importanti diplomatici israeliani, ha detto che “la questione palestinese al momento è di secondaria importanza”. Lo riferisce l’ex ambasciatore israeliano negli USA, Zalman Shoval.

Le conseguenze di questo “nuovo corso americano” si sono viste subito nei territori contesi. I cosiddetti palestinesi si sono dati subito da fare e minacciano una terza intifada. Lo scopo è quello di riportare la questione palestinese in primo piano, specie ora che il Presidente Obama si appresta a compiere il suo primo viaggio in Israele. E allora via libera a manifestazioni, atti di violenza, proteste accuratamente organizzate per essere riprese dai media. Insomma, il solito teatrino palestinese.

Solo che questa volta la cosa non sarà così semplice anche se non si esclude che comunque il Presidente americano faccia qualche accenno alla questione palestinese e alla necessità di riaprire il tavolo delle trattative, non fosse altro per dare un contentino alle lobby filo-arabe. Ma le priorità sono davvero altre. Il momento di decidere cosa fare con l’Iran si avvicina a grandi passi. Ormai è diventato un problema non più rinviabile. La situazione in Egitto sta precipitando mentre in Libia si fa sempre più critica. Nessuno ancora sa quali saranno le conseguenze della ormai prossima caduta del regime siriano. Il Libano è fortemente destabilizzato e se cade Assad la situazione potrebbe peggiorare. In un quadro come questo come può la questione palestinese, che si trascina stancamente da oltre 60 anni, essere in primo piano.

Ma siamo sicuri che Abu Mazen non demorderà tanto facilmente e che nei prossimi giorni assisteremo a numerosi atti di violenza e provocazioni da parte degli arabi nei territori contesi. Ce ne faremo una ragione, anzi, ce la siamo già fatta da un po’. Ora l’importante è che lo capiscano anche gli Stati Uniti e sembra che finalmente sia proprio così.

Sharon Levi

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