ahmadinejad al cairo

Con la visita di Mahmoud Ahmadinejad al Cairo si è avuta la certificazione ufficiale che le cosiddette “primavere arabe” altro non sono state che l’anticamera di un profondo “inverno islamico” che non ha solo cambiato in peggio gli assetti in Medio Oriente ma che potrebbe portare nel volgere di poco tempo a devastanti conflitti su ampia scala che potrebbero coinvolgere non solo Israele ma tutto il mondo libero.

Non so quanto abbiano fischiato le orecchie a Barack Hussein Obama e all’ex segretario di Stato, Hillary Clinton, che hanno voluto con tutte le loro forze i Fratelli Musulmani al governo in Egitto, nel vedere l’abbraccio tra Mahmoud Ahmadinejad e Mohammed Morsi, ma se hanno un minimo di intelligenza dovrebbero rendersi conto di quanto fallimentare sia stata la loro politica in Medio Oriente e quantomeno provare a porvi rimedio. Ma a giudicare dal silenzio di Washington in merito a questo “storico” incontro c’è davvero poco da sperare in una presa di posizione americana.

La visita di Ahmadinejad al Cairo, inquadrata nella riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, è in realtà il coronamento di lunghi negoziati tra Egitto e Iran volti non solo a riattivare i rapporti diplomatici tra i due Paesi, congelati dai tempi del trattato di pace tra Egitto e Iran, ma anche una collaborazione e cooperazioni in diversi settori tra i quali quello militare e di assistenza ad Hamas.

Non ci si deve nascondere dietro a un dito, bisogna ammettere che se le relazioni diplomatiche tra Egitto e Iran che si erano interrotte a causa del trattato di pace tra Egitto e Israele, ora si sono riattivate perché in quella direzione qualcosa è cambiato, sta cambiando o cambierà. Questa è una realtà di cui occorre prendere atto a prescindere dalle rassicuranti dichiarazione di Morsi e dei vari lacchè di Obama.

Per esempio, appare improbabile che i due rais islamici non abbiano parlato di come fare per far giungere a Gaza le armi iraniane tra cui i missili a medio e lungo raggio, una operazione che non può avvenire senza il tacito consenso egiziano, un consenso che c’è già stato in passato a meno che non si voglia credere che i terroristi di Hamas e della Jihad Islamica abbiano fatto passare i missili Faijr5 attraverso i tunnel sotterranei che uniscono l’Egitto a Gaza. L’Iran ha urgentemente bisogno di far arrivare i sui missili ad Hamas e non lo può fare senza la collaborazione egiziana. Teheran deve mantenere attivo quel fronte che al momento è calmo solo perché durante l’ultimo conflitto l’aviazione israeliana ha distrutto la gran parte degli arsenali di Hamas. Quegli arsenali vanno quindi urgentemente rimpinguati e soprattutto va fatto prima che Israele decida un blitz sulle centrali nucleari iraniane.

L’Egitto di Mohammed Morsi diventa quindi ufficialmente complice del regime iraniano, nonostante tra i due regimi ci siano enormi differenze che vanno dal credo religioso (sunniti gli egiziani, sciiti gli iraniani) fino alle distanze sul sostegno al regime di Assad. Ma ad unire i due rais c’è il comune odio per Israele che travalica qualsiasi tipo di divisione.

Per questo l’occidente e soprattutto gli Stati Uniti devono rendersi conto che siamo alla vigilia dell’inizio di un profondo inverno islamico in Medio Oriente, un inverno islamico e islamista che punta dritto all’obbiettivo grosso, Israele, l’unico ostacolo rimasto tra l’islam integralista e il mondo libero, l’unico ostacolo reale tra loro (gli islamisti) e il mondo occidentale e democratico, l’unico ostacolo concreto tra un Iran nucleare ed egemonico e un Medio Oriente finalmente in pace.

Miriam Bolaffi