A poche ore dall’attacco alleato alla Siria il mondo arabo si è riunito in Arabia Saudita sotto l’egida dell’82enne Re Salman, una riunione dalla quale sono emerse diverse contraddizioni che non contribuiscono ad allentare le tensioni regionali.
Diciassette capi di stato di tutto il mondo arabo – escluso il presidente siriano Bashar al-Assad – si sono riuniti nella città orientale saudita di Dhahran, sede del colosso petrolifero saudita Aramco, per discutere del futuro della Lega Araba e delle tensioni che attraversano la regione.
Tra riavvicinamenti strategici (quello tra i sauditi e il Qatar è stato quello più evidente) e prese di posizioni decise contro la decisione del Presidente Trump di riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele, i Paesi arabi si sono concentrati soprattutto sulla crisi siriana anche se, ancora una volta, non hanno affrontato l’altra grande crisi regionale, cioè quella libica (ne parleremo nelle prossime ore).
Sostegno pieno alla causa palestinese
Dalla riunione è emerso un documento finale che attacca duramente l’Iran per le sue ingerenze nelle crisi regionali, viene rinnovato il pieno sostegno alla causa palestinese dopo che negli ultimi mesi era stata quasi abbandonata e soprattutto viene duramente condannata la decisione del Presidente Trump di trasferire l’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, una mossa che di fatto riconosce la città contesa quale capitale di Israele.
Re Salman nel suo discorso finale ha ribadito la legittimità di uno Stato palestinese che abbia come capitale Gerusalemme Est e ha promesso un cospicuo aiuto economico alla Autorità Palestinese. In questo pacchetto di aiuti ci sono anche 150 milioni di dollari destinati “al mantenimento del patrimonio islamico nella città santa”, una formula molto ambigua che lascia intendere che quel denaro sia finalizzato al mantenimento della parte est di Gerusalemme sotto controllo arabo.
Un passo indietro dei sauditi?
Qualche giornalista ha fatto quindi notare che la dichiarazione di Re Salman è quasi uno schiaffo al Presidente Trump e comunque un deciso allontanamento dalla politica americana in Medio Oriente (sempre ammesso che gli americani abbiano una linea politica per la regione) oltre che un passo indietro rispetto agli avvicinamenti nei confronti di Israele emersi di recente da diverse dichiarazioni dell’erede al trono saudita, il principe Mohammed bin Salman.
Non è così però per il ministro degli Esteri saudita, Adel al-Jubeir, il quale ha dichiarato che «non c’è alcuna contraddizione nell’avere forti legami strategici con gli Stati Uniti e dire ai propri amici dove la loro politica commette errori. Gli amici servono anche a questo».
La botte piena e la moglie ubriaca
Gli arabi vorrebbero quindi la botte piena e la moglie ubriaca. Vorrebbero che Stati Uniti e Israele gli aiutino nel conflitto interreligioso e regionale con l’Iran ma non sono disposti a cedere nulla in cambio. Anzi, con la decisa critica alla decisione americana su Gerusalemme e il redivivo sostegno alla causa palestinese, fanno un deciso passo indietro rispetto alle recenti mosse nei confronti dello Stato Ebraico. Insomma, il solito tira e molla arabo, le solite bugie islamiche da commerciante di cammelli che vengono al pettine. Nulla di nuovo.