Quando parliamo di Coronavirus e Africa bisogna sempre andarci cauti perché il rischio di essere additati come “razzisti” è molto alto.

Quello che vorrei fare io è analizzare, se possibile con pacatezza, il rischio a mio parere elevatissimo che il Coronavirus “sfondi” in Africa.

Chiaramente non essendo medico, virologo o epidemiologo, non posso farlo su basi scientifiche, ma conoscendo piuttosto bene le questioni africane posso farlo basandomi su fattori più “terra a terra” o, se volete, più pratici.

Vorrei partite con l’escludere qualsiasi collegamento tra il Coronavirus è l’emigrazione dall’Africa. È una questione di tempi. Un migrante africano ci mette mesi, a volte anni, per raggiungere la Libia, tempo che il Coronavirus non da (per quanto più lento di altre malattie). E siccome il veicolo maggiore di diffusione sono le persone che provengono dalla Cina (non solo cinesi) l’attuale situazione in Libia mi porta a pensare che molto difficilmente questa particolare area africana possa essere a rischio sebbene la Libia sia uno dei paesi africani che ha aderito all’iniziativa “Belt and Road”. Ciò non toglie, naturalmente, che la questione vada attentamente sorvegliata.

Quando parlo di “cocktail letale” penso invece a quelle aree dove la presenza cinese o di africani che per lavoro si recano in Cina è molto elevata. Paesi e aree specifiche dove i controlli sanitari non sono all’altezza o sono addirittura inesistenti.

Considerando che la “conquista cinese dell’Africa” è a un punto molto avanzato e che quindi sono pochi i paesi dove non esiste presenza cinese, i primi “punti caldi” che mi vengono in mente sono quelle aree dove è difficile, quando non impossibile, mappare con attenzione la situazione.

Penso per esempio alla zona orientale della Repubblica Democratica del Congo, area di massima estrazione del Coltan, minerale indispensabile per le industrie cinesi della tecnologia.

Qui la presenza cinese è molto alta, per di più proveniente in parte proprio dall’area di Wuhan e della provincia di Hubei dove arriva il Coltan grezzo per essere trasformato.

Parlo delle zone di Kivu (nord e sud), aree in mano a gruppi ribelli che trattano direttamente con i cinesi, zone dove non esiste davvero nessuno controllo come, purtroppo, ce ne sono molte altre in Africa.

Ora pensate se in una zona del genere dovesse spuntare qualche caso di Coronavirus. Prima di tutto non verrebbe riconosciuto, magari scambiato con altre patologie tipiche dell’area. Poi, prima che qualcuno riesca a fare una diagnosi precisa e a lanciare l’allarme potrebbero passare mesi. Sarebbe devastante.

Ho preso come esempio la zona del Congo orientale perché è la prima che mi è venuta in mente (per tante ragioni), ma zone come quella dove operano aziende cinesi in Africa ce ne sono a centinaia.

Per ora non si hanno notizie di casi di Coronavirus in Africa, ma la possibilità che in effetti vi siano e non siano stati diagnosticati è a mio parere molto elevata.

Per questo mi rimane strano il silenzio della OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sulla potenzialità di una epidemia in Africa. È un semplice ragionamento di numeri e di causa-effetto.

A scanso di equivoci ripeto che il mio ragionamento non ha nulla a che vedere con l’emigrazione dall’Africa, argomento che qualcuno potrebbe sfruttare per insinuare paure che a mio modo di vedere sono ingiustificate.

Ma se diamo per scontato che il veicolo sono cinesi o persone che hanno viaggiato in Cina nelle aree contagiate, è innegabile che l’Africa sia potenzialmente un immenso bacino per il Coronavirus.

Sottovalutare questo rischio, come sembra fare l’OMS, non mi sembra una buona idea, non tanto per noi quanto piuttosto per gli africani.