In Iran è iniziata l’era di Ebrahim Raisi e com’era prevedibile non solo non cambia nulla nei confronti di Israele, ma addirittura la situazione peggiora e probabilmente siamo sull’orlo di uno scontro diretto.
Ma con l’elezione del boia di Teheran non è solo Israele a dover fare i conti con un importante inasprimento della tensione, anche gli iraniani non stanno messi proprio bene, almeno quei milioni che vorrebbero la fine del regime degli Ayatollah.
Proprio pochi giorni fa mi è venuto a trovare il mio vecchio amico Shahyar, membro della resistenza iraniana (nulla a che vedere con il MEK) e rifugiato in Italia con tutta la sua famiglia.
Il vecchio amico mi raccontava di temere per i suoi famigliari rimasti in Iran, i genitori e i suoceri, che con Rohuani non hanno avuto grossi problemi ma che non appena eletto Raisi si sono visti piombare in casa le “camice nere iraniane”, i fantomatici e fanatici Basij, la milizia paramilitare agli ordini dei Guardiani della Rivoluzione Iraniana.
Gli hanno chiesto se erano in contatto con i loro congiunti fuggiti in Italia e se erano in contatto con il MEK, perché in Iran la resistenza per essere denigrata viene sempre associata ai Mojahedin del Popolo Iraniano, quando invece la vera resistenza iraniana è lontanissima dai Mullah in esilio.
E così si è finiti a parlare degli iraniani e di quanto questo popolo fiero e colto sia lontano dagli Ayatollah e dalla loro teologia assassina.
Certo, nelle campagne dove regna l’ignoranza i Mullah sono ancora fortissimi, ma nelle grandi città ormai non li sopporta più nessuno.
E nessuno capisce perché l’Iran si debba mettere in conflitto continuo con Israele. Perché gli Ayatollah spendono miliardi di dollari che potrebbero essere usati nello sviluppo dell’Iran, per sostenere gruppi terroristici in configurazione anti-israeliana.
«Gli iraniani sono lontanissimi dal considerare Israele e gli israeliani alla stregua di un nemico. Noi siamo persiani non cammellieri arabi» mi dice fiero Shahyar.
«I persiani non odiano gli ebrei o Israele. Anzi, come loro abbiamo una storia millenaria, ci piace la modernità, lo sviluppo scientifico e come loro guardiamo avanti» continua Shahyar.
«La cosiddetta “rivoluzione iraniana” ci ha scaraventati nel Medio Evo islamico quando tutti noi volevamo solo liberarci di Reza Pahlevi e instaurare una vera democrazia, non passare da un regime sanguinario ad un altro» continua.
«Ma gli iraniani veri, i persiani non i cammellieri, non hanno nulla a che vedere con gli Ayatollah e quando lo abbiamo dimostrato con il Movimento Verde il mondo non ci ha supportati, anzi ci ha abbandonati».
Conosco già questi discorsi, li abbiamo fatti un sacco di volte io e Shahyar, ma ogni volta resto sorpreso, colpito dal suo onesto livore e dal suo orgoglio persiano.
«In tanti ci dicono “ma perché non mandate via gli Ayatollah?”» continua Shahyar. «Come se fosse una cosa facile. Con i Guardiani della Rivoluzione che controllano praticamente ogni singola porzione del Paese e dove non arrivano loro ci arrivano i Baij, le SS del regime».
«Siamo in un vicolo cieco» continua. «Non riusciamo a organizzare una resistenza seria al regime. Non bastano le grandi città. Se non riusciamo a sfondare nelle zone rurali, nel bacino di consenso degli Ayartollah, non andiamo da nessuna parte».
So già che le zone rurali sono diffidenti ai cambiamenti e che sono la solida base di consenso sulla quale poggiano gli Ayatollah, ma pensavo che con la crisi nella quale è sprofondato l’Iran delle sanzioni anche le zone rurali si sarebbero unite al dissenso delle città.
«Sbagli» mi dice l’amico Shahyar. «Loro sentono di meno la crisi perché i prezzi sono più bassi e la loro è una economia si sussistenza. Hanno di che vivere e questo gli basta. Di tutto il resto non si interessano».
«Se gli Ayatollah arrivano alla bomba non li ferma più nessuno» mi dice all’improvviso. «Se adesso un vero atto ostile potrebbe spiazzarli e soprattutto potrebbe spiazzare le guardie rivoluzionarie, se arrivano alla bomba non cadranno mai e non si faranno nemmeno scrupolo di usarla» dice quasi rassegnato.
Gli chiedo se per “vero atto ostile” intenda un attacco militare e mi conferma che intende un attacco alle centrali nucleari, l’arma definitiva degli Ayatollah.
«Se gli togli quelle non hanno più niente. Ma se le lasci integre e lasci che arrivino alla bomba è finita» specifica.
«L’occidente deve capire che gli iraniani sono prigionieri degli Ayatollah e soprattutto dei Guardiani della Rivoluzione islamica. Capirebbero qualsiasi atto ostile che non sia un attacco che uccida civili ma che possa indebolire i loro boia».
E qui c’è la domanda delle domande. Lo capiranno soprattutto gli americani che lasciare che gli Ayatollah arrivino alla bomba è prima di tutto un “de profundis” per il popolo iraniano, addirittura prima ancora che una minaccia esistenziale per Israele?