Sulla Palestina e sulla corsa al suo riconoscimento stiamo assistendo ad un vero e proprio suicidio globale della Comunità Internazionale. L’ultimo in ordine di tempo a partecipare a questo macabro rituale è stato il Vaticano che un giorno condanna il terrorismo e il giorno dopo accoglie a braccia aperta un terrorista in casa propria, per di più proprio il giorno stesso in cui in Israele accadeva l’ennesimo attacco contro quattro ragazzi israeliani che venivano investiti da un palestinese in ossequio alle richieste più volte fatte da Abu Mazen, quell’omuncolo accolto in Vaticano da Papa Francesco.
Nello stesso momento in cui Abu Mazen era in Italia, prima in Vaticano poi da Renzi, per parlare della soluzione dei due Stati nella cosiddetta Palestina si manifestava in occasione della Nakba e a farla da padrone non erano affatto parole di libertà e di pace ma parole di odio e di guerra verso Israele, una manifestazione monopolizzata totalmente da Hamas sebbene tenutasi in Cisgiordania. A parte i soliti slogan sul “diritto al ritorno” quello più scandito è stato “morte a Israele” mentre diversi politici palestinesi affermavano che “la lotta armata è l’unica strada per distruggere Israele”. In una diretta televisiva trasmessa dalla TV palestinese un membro di Hamas, tra l’approvazione generale, ha detto che “i palestinesi torneranno anche se dovremo aspettare altri 67 anni. Se non lo faremo noi, lo faranno i nostri figli e nipoti. Noi insegniamo ai nostri figli che la Cisgiordania non è la loro patria. La loro patria è là, in Palestina. Israele non esiste. Quella è la terra di Palestina”. Ecco quindi il concetto che hanno i palestinesi di “due stati per due popoli” che Abu Mazen va propagandando in giro, un concetto che esiste solo a parole nelle intenzioni degli arabi, a qualsiasi gruppo essi appartengano.
Ma la cosa paradossale, evidenziata con chiarezza proprio da questa manifestazione, è che la sopravvivenza di Abu Mazen, sia politica che prettamente fisica, è strettamente legata al fatto che Israele continui a mantenere il controllo su Giudea e Samaria, cioè quello che il leader terrorista e tutti i suoi seguaci vorrebbero che cessasse. Se veramente Israele dovesse abbandonare il controllo della West Bank nel giro di pochi giorni Hamas ne prenderebbe il controllo esattamente com’è successo a Gaza, Abu Mazen verrebbe fatto fuori e invece di avere pace si avrebbe solo guerra. Questa non è una ipotesi ma un dato di fatto.
E allora, perché questa follia globale di riconoscere unilateralmente la Palestina e di chiedere a Israele di cessare il controllo su Giudea e Samaria quando questa evenienza consegnerebbe la Palestina nelle mani di Hamas? Perché si parla di pace ma si lavora per la guerra? A questa domanda non so davvero come dare una risposta. La più logica sarebbe quella che chi sostiene questa soluzioni lavori in effetti per la distruzione di Israele, ma questa risposta varrebbe solo per gli odiatori di professione e non per coloro che, magari in buona fede, credono che sia la soluzione migliore. Alla fine l’unica risposta possibile è quella che gli odiatori abbiano lavorato così bene a livello mediatico da convincere anche una buona massa di ingenui tra cui diversi politici di primissimo piano.
E’ triste vedere il mondo che, in un momento nel quale l’estremismo islamico avanza in tutto il Medio Oriente, si dia tanto da fare per distruggere l’unica vera democrazia presente in quell’area. E ancora qualcuno si chiede perché l’ISIS non minacci di distruggere Israele. Perché mai lo dovrebbe fare? Ci sta pensando il cosiddetto “mondo civile” a farlo. Al-Baghdadi non deve fare altro che aspettare e concentrarsi sul altro. A Israele ci pensa la follia occidentale.
[glyphicon type=”user”] Scritto da Maurizia De Groot Vos
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