Il problema non sono gli insediamenti in Giudea e Samaria, ma “l’uomo di Ramallah”

19 Novembre 2019

Fa molto piacere, anche a un “non amante” di Trump come il sottoscritto, che finalmente il Dipartimento di Stato americano abbia detto di voler cancellare quella vergognosa dichiarazione del 1978 secondo la quale gli insediamenti israeliani in Giudea e Samaria erano incompatibili con il Diritto Internazionale.

Pur non essendo un estimatore di Trump gli va dato atto di aver posto la questione palestinese nell’alveo che gli compete, quello cioè delle questioni secondarie, quasi irrilevante rispetto ad altre più impellenti.

La diatriba tra Israele e arabi cosiddetti “palestinesi” si trascina ormai da troppo tempo ed ha alimentato un giro di puro business e di speculazioni politiche che fino ad oggi hanno ottenuto come unico risultato quello di allontanare qualsiasi soluzione del conflitto.

Non starò a ripetere quante volte i palestinesi hanno avuto l’opportunità di creare un loro Stato, non starò nemmeno a ricordare il mare di denaro sparito nei conti dei leader palestinesi nel corso di questi anni, di come mentre la popolazione araba vive in miseria i leader palestinesi si sono alzati lo stipendio (già elevatissimo) del 67%. Sono cose che si sanno e non c’è bisogno di ricordarle.

«Chiamare la creazione di insediamenti civili incompatibili con il diritto internazionale non ha fatto avanzare la causa della pace»

Lo ha detto Mike Pompeo evidenziando come la vicenda degli insediamenti, per altro tutt’altro che illegali, altro non sia che l’ennesima scusa per non cambiare nulla.

Ed è questo il vero punto della questione. Tutte le mosse fatte fino ad ora dall’Amministrazione Trump puntano a dimostrare che la cosiddetta “questione palestinese” è solo un enorme meccanismo estorsivo, un meccanismo per altro ormai vetusto che con il cambiamento delle politiche in Medio Oriente è diventato un peso enorme anche per gli stessi Paesi arabi che lo avevano creato.

Ho letto decine di post, da ambo le parti, che rivendicano le proprie ragioni sulla legittimità o illegittimità degli insediamenti in Giudea e Samaria dopo l’importante presa di posizione della Amministrazione Trump.

Non serve a niente, mettetevi il cuore in pace. Il problema non sono gli insediamenti israeliani, il problema è il regime di Ramallah che non intende rinunciare all’enorme business che rappresenta la questione palestinese e si aggrappa a tutto pur di rimanere in sella.

Stupisce piuttosto che chi dovrebbe rappresentare la parte che tutela i Diritti degli arabi, dalla UE fino all’ultimo degli attivisti pro-pal, continui a reggere il gioco a un dittatore spietato come Mahmud Abbas (alias Abu Mazen), uno che è al potere senza nessuna elezione (salvo la prima) dal 2005, quindi da 14 anni, quando il suo mandato scadeva nel 2009.

A leggere le dichiarazioni rilasciate dalla solita Federica Mogherini o da altri “illustri” personaggi palestinisti sembrerebbe che la decisione annunciata dall’Amministrazione Trump sia invece una coltellata al processo di pace (quale?) o, nella migliore delle ipotesi, un regalo a Netanyahu (come ci spiega Chicco Mentana).

Ma come è possibile che a questa gente non passi per la testa che il vero problema è l’uomo di Ramallah che non si schioda e rifiuta di tutto e non i legittimi insediamenti in Giudea e Samaria?

Che poi, davvero qualcuno può credere che pochi insediamenti con qualche migliaia di abitanti mettono in pericolo la soluzione del conflitto arabo-israeliano?

Se lo si vuole credere, liberissimi di farlo. Ma così non si fa un buon lavoro per quella pace che tutti, a parole, bramano.

Se non si parte dalla testa del problema, se non si affronta una volta per tutte la questione della leadership arabo-palestinese, si continuerà all’infinito a girare attorno al vero problema.

Lo ha capito benissimo Trump e si è comportato di conseguenza. Cosa manca al resto dell’occidente, Europa in testa, per capirlo?

Franco Londei

Esperto di Diritti Umani, Diritto internazionale e cooperazione allo sviluppo. Per molti anni ha seguito gli italiani incarcerati o sequestrati all’estero. Fondatore di Rights Reporter

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