Mentre il mondo libero sembra farsi gli affari suoi, preso com’è dalla crisi economica, l’Iran si sta muovendo su diversi livelli per consolidare la propria spinta espansionistica e per arrivare, tra pochi mesi, a presentare al mondo libero il conto di una strategia che fino ad oggi ha trovato come unico oppositore solo lo Stato Ebraico di Israele.
E’ di ieri la notizia, diffusa dal Washington Post, secondo la quale l’Iran starebbe costruendo con l’aiuto di Hezbollah un vero e proprio sistema di presenza militare permanente in Siria. A sostenerlo è stato un alto funzionario dell’Amministrazione Obama il quale, con la garanzia dell’anonimato, ha detto al prestigioso giornale americano che la strategia iraniana in Siria è, nel breve periodo, quella di appoggiare militarmente il regime di Assad ma, nel lungo periodo, è quella di preparare il terreno per una presenza iraniana in Siria anche nel caso in cui il regime crolli. Per fare questo Teheran non si sta limitando a inviare uomini e armi in Siria ma ha trovato nel gruppo terroristico di Jaysh al-Sha’bi un valido punto di riferimento. Jaysh al-Sha’bi è una milizia pro-Assad composta da sciiti e alawiti che in questo momento è alimentata dal denaro di Teheran e dagli uomini delle Guardie della Rivoluzione iraniana e da quelli di Hezbollah. Per l’Iran è di fondamentale importanza mantenere una presenza armata in Siria e con questa continuare a tenere un canale di rifornimento di armi verso Hezbollah e una costante minaccia contro Israele.
Ma non è solo la Siria l’obbiettivo dell’Iran. Non meno importante è mantenere aperto un canale di rifornimento di armi verso la Striscia di Gaza e quindi verso Hamas e la Jihad Islamica. Per questo, secondo diverse fonti di intelligence, nei giorni scorsi il dittatore iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, e il rais egiziano, Mohammed Morsi, avrebbero raggiunto un accordo per il trasbordo di armi verso la Striscia di Gaza attraverso l’Egitto. L’accordo prevede che le armi iraniane giungano in Egitto dal Sudan dove Teheran costruisce i suoi missili Fajir5 (nella stessa fabbrica distrutta qualche mese fa da aerei ignoti) e dove gli Ayatollah fanno arrivare enormi carichi di armi che vengono scaricate e stoccate a Port Sudan. Unico veto messo dall’Egitto è quello dell’impossibilità per le navi iraniane che trasportano armi di passare lo Stretto di Suez (verrebbero individuate con facilità) e di scaricare i loro carichi di morte nei porti egiziani. Insomma, una complicità mascherata e non palese, per questo della peggior specie.
Sempre in Sudan l’Iran ha inviato alcune centinaia di Pasdaran per addestrare l’esercito sudanese all’utilizzo degli IED (improvised explosive device) e per insegnare le tecniche terroristiche agli agenti segreti sudanesi che si stanno addestrando in alcuni campi lungo il confine con l’Eritrea. Alcune decine di elementi appartenenti alle milizie Basij (la milizia legata alle Guardie della Rivoluzione iraniana responsabile delle repressioni post elettorali in Iran) stanno invece addestrando le milizie antisommossa sudanesi dopo che nei mesi scorsi le opposizioni sudanesi avevano organizzato diverse manifestazioni contro il regime di Al-Bashir.
A livello interno sono sempre le milizie Basij ad essere il fulcro della difesa del regime. In previsione delle prossime elezioni presidenziali in Iran che si terranno il 14 giugno 2013 il regime ha rafforzato ulteriormente le milizie Basij accentuando anche la repressione verso i dissidenti. Decine di giornalisti sono stati incarcerati nelle scorse settimane mentre sono almeno quattro le testate giornalistiche riconducibili alle opposizioni che sono state chiuse con atti di forza.
Ci sarebbe poi da parlare del Libano e della fortissima pressione che l’Iran effettua sul Paese dei cedri, ma su questo ne scriveremo in un apposito articolo nei prossimi giorni perché parlarne in un semplice capitolo sarebbe davvero riduttivo e non riuscirebbe a spiegare bene la prepotente infiltrazione iraniana. Stesso discorso per il Sud America dove attraverso Hezbollah gli Ayatollah stanno condizionando l’economia di intere aree e Paesi.
A questo punto rimane solo una cosa da chiedersi, o meglio, da chiedere agli irriducibili delle trattative con l’Iran (Obama e la Ashton in primis): è il caso di insistere a cercare il colloquio con un regime che così palesemente lavora per trasformare il mondo in un enorme campo di battaglia, oppure sarebbe il caso di iniziare a fare qualcosa di concreto per contrastarlo veramente?
Noemi Cabitza