Ormai appare chiaro che le dimissioni del consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton nascono da uno scontro con il Presidente Trump sulla più che probabile apertura dello stesso Trump all’Iran.

È vero, non è solo questo. Bolton era un interventista, un vero falco. Fosse dipeso da lui avrebbe raso al suolo Hamas, Hezbollah, i talebani, le centrali nucleari iraniane, quelle nordcoreane e ogni nemico delle democrazie.

Il Presidente Trump, al contrario, abbaia molto ma non morde quasi mai. Preferisce la strada delle sanzioni a quella della guerra, preferisce portare l’avversario a più miti consigli attraverso lo strangolamento economico.

È un differenza di visione non proprio minimale. In questo Trump assomiglia a Obama molto più di quanto si voglia credere.

Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso di Bolton è stata la dichiarata volontà del Presidente Trump di voler riaprire colloqui con l’Iran, a partire da un incontro con il Presidente iraniano, Hassan Rouhani, che con molta probabilità avverrà a margine dell’annuale Assemblea Generale dell’Onu che si terrà tra poco a New York.

In questi giorni si assiste a schermaglie verbali tra Trump e gli iraniani. Da un lato il Presidente americano minaccia l’Iran dopo che a Teheran hanno ripreso ad arricchire l’uranio su valori molto alti, dall’altro gli iraniani dicono che smetteranno di farlo quando gli Stati Uniti toglieranno le sanzioni.

Sono i preparativi di una trattativa dove ognuno rafforza le proprie posizioni per arrivare ad eventuali colloqui partendo da un punto di forza.

È questo che ha fatto infuriare il falco Bolton (oltre ad altre cose come le trattative di pace con i talebani ecc. ecc.) e che lo ha spinto alle dimissioni.

Trump ha bisogno di arrivare alle elezioni presidenziali americane con un risultato positivo in politica estera che al momento non ha avuto in nessun contesto, né con la Corea del Nord, né in medio Oriente dove da mesi promette un piano di pace che però non decolla, né in Afghanistan da dove vorrebbe ritirare le truppe ma per farlo ha bisogno di trattare con i talebani.

Un accordo con l’Iran che riveda sostanzialmente il vecchio accordo sul nucleare iraniano (JCPOA) concluso da Obama sarebbe per lui un bel trofeo da esibire.

Il problema però è che l’Iran, o meglio, il pericolo iraniano non si limita al solo programma nucleare.

L’Iran ha messo nel mirino Israele e attraverso i suoi proxy si sta preparando a sferrare il suo attacco. Chi pensa che a Teheran non siano decisi a farlo o che abbiano un qualche timore ad implementare il proprio piano è un illuso.

Lo sanno bene a Gerusalemme dove infatti sono preoccupatissimi per le voci sempre più insistenti di un incontro tra Trump e Rouhani e dove l’abbandono di John Bolton è stato visto come una grave perdita.

Israele ha perso il suo più importante alleato alla Casa Bianca, Netanyahu ha perso la sua più importante spalla a Washington e in questo particolare momento è una perdita gravissima.

Quello che si spera è che il Presidente Trump non sacrifichi Israele sull’altare della rielezione e che rimanga fermissimo sulle sue posizioni con l’Iran. Magari le preoccupazioni israeliane sono solo esagerate e, come in molti affermano, ci si deve fidare del Presidente americano e delle sue scelte. Ma l’abbandono di John Bolton ha provocato indubbiamente un brivido freddo nella schiena di Netanyahu. E se il mio Premier è preoccupato la cosa non è affatto rassicurante.