Ad Amman il quartiere Tafileh è il cuore della protesta che ormai da tempo sta tenendo sulla corda la Giordania. E’ il quartiere più povero e per questo il più vulnerabile alle infiltrazioni dei “venditori di fumo” della Fratellanza Musulmana, gente senza scrupoli che sfruttando la povertà dilagante e il malcontento aizza questi disperati contro il Re e contro il Governo.

Oggi Re Abdullah dovrebbe chiedere le dimissioni del Primo Ministro Hani Mulki nel tentativo di placare le ire dei manifestanti infuriati per i rialzi del pane, della benzina e per la politica economica del regno. Ma non è affatto sicuro che le proteste si fermeranno.

Il timore, più che concreto, è che dietro alle proteste ci sia la Fratellanza Musulmana che già in passato aveva tentato più volte di dare una spallata alla monarchia giudicata troppo “filo-occidentale” e alla quale non hanno mai perdonato né il trattato di pace con Israele né la politica filo-saudita e quindi ostile ai Fratelli Musulmani.

Al di la della necessità effettiva per la Giordania di rivedere radicalmente la sua politica economica e di ascoltare le istanze che arrivano dal basso, quello che al momento il regno hashemita deve assolutamente evitare è che la Fratellanza Musulmana si impossessi politicamente delle proteste, una operazione non facile e che potrebbe essere tardiva. Da mesi infatti i Fratelli Musulmani soffiano sul fuoco del malcontento e i buoni risultati ottenuti alle ultime elezioni spingono gli estremisti islamici a non mollare l’osso.

I recenti aumenti delle tasse e soprattutto l’aumento del prezzo del pane attuati dal premier Mulki per seguire le politiche economiche imposte dal Fondo Monetario Internazionale hanno colpito maggiormente le classi più povere, terreno fertile per i predicatori d’odio della Fratellanza Musulmana.

Aiutare con ogni mezzo la Giordania

Le potenze regionali alleate della Giordania non possono non essere fortemente preoccupate per ciò che avviene ad Amman. L’economia della Giordania sta faticando moltissimo, gli investimenti stranieri sono calati mentre anche gli aiuti internazionali sono stati drasticamente tagliati. Questo ha portato a una situazione difficile che non ha investito solo le classi più povere ma anche la classe media che fino ad oggi è stata il pilastro della monarchia. La Giordania è un elemento troppo importante nello scacchiere mediorientale per lasciarla alla mercé della Fratellanza Musulmana. E’ interesse di Israele e dell’Arabia Saudita cercare in ogni modo di sostenere Re Abdullah anche coinvolgendo gli Stati Uniti se necessario. Alla Giordania serve un aiuto massiccio e immediato, anche a livello di sicurezza interna già minacciata dall’ISIS e che ora potrebbe affiancare i Fratelli Musulmani nel cavalcare il malcontento.

Per questo, anche su iniziativa israeliana che considera giustamente la Giordania un alleato fondamentale, sono in corso febbrili e complesse manovre nel tentativo di non lasciare Re Abdullah alla mercé della Fratellanza Musulmana. Un aiuto economico importante potrebbe arrivare dall’Arabia Saudita e da altri Paesi sunniti del Golfo. Ora l’importante è fermare la protesta popolare che potrebbe facilmente degenerare in protesta violenta. Per farlo la Giordania deve prima di tutto abrogare le leggi messe a punto dal premier Hani Mulki su imput del FMI. Poi gli alleati devono dare il via a un piano d’emergenza per rilanciare l’economia giordana aumentando gli scambi con Amman. Naturalmente non è una cosa che si possa fare in pochi giorni, ma di sicuro è un piano che va approntato prima possibile. Il rischio è che l’alternativa sia un Governo della Fratellanza Musulmana che immancabilmente allontanerebbe il regno hashemita dall’asse con i Paesi sunniti e con lo Stato Ebraico. Non ci possiamo permettere di perdere la Giordania.