Chi segue le vicende del Medio Oriente ed è stato attento ai segnali che arrivano da quella tormentata regione, non può non aver notato il salto di qualità effettuato ieri da Israele con il bombardamento di una base in Siria riconducibile direttamente a Teheran.
Quello lanciato dagli israeliani agli Ayatollah iraniani è un messaggio fortissimo che va molto al di la delle apparenze o dei soliti raid aerei contro Hezbollah. La base bombardata ieri, quella di El-Kiswah, situata 14 km a sud di Damasco, non è una base qualsiasi anche se le agenzie hanno parlato genericamente di un “deposito di armi”. Quella base non è solo un deposito di armi, è qualcosa di molto di più importante perché se le informazioni di intelligence sono precise è la prima vera base iraniana in terra siriana.
A Teheran vogliono passare all’incasso, vogliono cioè riscuotere i crediti che hanno con Bashar Assad per averlo salvato dal tracollo. Gli iraniani vogliono portare a termine il loro piano di un grande corridoio sciita che vada dall’Iran al Libano. Vorrebbero costruire anche una base navale e una base aerea, una pretesa che però entra in conflitto con gli interessi russi in quanto Putin ha interesse a “normalizzare” la situazione in Siria mentre quello che vorrebbero fare gli iraniani va nella direzione contraria perché su questo Israele è stato lapidario nel dire che non permetterà mai all’Iran di posizionarsi in pianta stabile in Siria. E’ su questi punti che il vertice di Sochi tra Russia, Iran e Turchia si è arenato. I tre hanno interessi divergenti.
E’ per questo che il messaggio lanciato ieri da Israele è fortissimo, sia verso Teheran che verso Mosca, in quanto mette in chiaro che gli israeliani non scherzano quando dicono che faranno di tutto per impedire a Teheran di posizionarsi in Siria e che sono disposti ad arrivare fino allo scontro diretto. Putin, sebbene alleato di Teheran, non lo vuole. Così si spiega il sostanziale silenzio russo sul raid aereo israeliano di ieri.
I combattenti iraniani sul terreno
L’altro giorno in una intervista a Ynet il Ministro della Difesa israeliano, Avidgor Lieberman, ha sostenuto che attualmente non ci sono combattenti iraniani in Siria ma che ci sono solo “consulenti e istruttori” iraniani che affiancano le milizie sciite (Hezbollah e sciiti provenienti da Iraq, Pakistan e Afghanistan). Quella di Lieberman è una verità a metà. In effetti secondo l’intelligence israeliana ci sono diverse centinaia di Guardie della Rivoluzione iraniana (pasdaran) in Siria, ma il grosso è composto dalle milizie armate e pagate da Teheran tra cui almeno 7.000 Hezbollah. E’ l’ennesima occupazione militare per procura implementata da Teheran ma che non esclude che in un domani prossimo non si trasformi in una vera e propria occupazione. Lieberman ne ha fatto una questione lessicale che nella sostanza cambia poco o nulla. Nei fatti gli iraniani sono in Siria e non solo ci vogliono rimanere, vogliono consolidare la loro presenza. Ma questo vuol dire andare verso un conflitto con Israele che però va contro gli interessi immediati di Putin che invece vorrebbe “normalizzare” la situazione di Assad e della Siria.
Il doppio messaggio a Teheran
Il raid aereo israeliano di ieri sulla base di El-Kiswah unito al silenzio russo è quindi un potentissimo doppio messaggio all’Iran, il primo da parte di Israele il quale dice chiaramente che lo Stato Ebraico non ha timore di andare fino in fondo, il secondo è quello che arriva da Putin che con il suo silenzio sul raid israeliano nei fatti dice agli iraniani che in un eventuale conflitto con Israele saranno da soli. Non è un messaggio urlato, anzi, è un messaggio silente e sibillino ma che è molto più potente di un bombardamento.