Mossad e Shin Bet formano insieme l’intelligence israeliana, forse la migliore al mondo. Il primo ha il compito di studiare e prevenire le minacce contro lo Stato di Israele che arrivano dall’esterno, il secondo si cura della intelligence interna, collabora con esercito e forze di polizia ed è una vera e propria agenzia di sicurezza interna.
Negli ultimi anni sia il Mossad che in misura minore lo Shin Bet hanno risentito della frenesia globale a “disumanizzare” l’intelligence, a renderla cioè più legata alla tecnologia che alle risorse umane che operano sul terreno. Questo cambio di operatività, che ai più sembrava il più adatto, in realtà si è rivelato poco produttivo nel tipo di conflitti che ci sono in Medio Oriente e soprattutto si è dimostrato poco adatto alle esigenze di Israele. Più tecnologia e meno agenti ha prodotto negli anni scorsi una serie di gravi ritardi nel comprendere quello che realmente avveniva sul terreno e la gravità delle minacce. Questo ha portato a seri ritardi nell’azione preventiva di contrasto alle minacce e ad analisi a volte frettolose e poco accurate. Non che la tecnologia non sia utile all’azione di intelligence, al contrario è utilissima, ma i fatti hanno dimostrato che se alla tecnologia non si affianca una presenza sul terreno fatta di agenti, di infiltrati e di collaboratori i risultati non potranno che essere approssimativi, non accurati e soprattutto non tempestivi.
A risentire in modo particolare di questa progressiva “disumanizzazione” della intelligence è stato principalmente il Mossad. Niente di eclatante o di irreversibile, niente che sia emerso pubblicamente, ma la differenza tra il “vecchio” Mossad e il “nuovo” Mossad si è avvertita in particolare nella difficile guerra sommersa con l’Iran e con Hezbollah e in modo minore in quella con Hamas. Piccoli ma essenziali ritardi e imprecisioni nelle informazioni trasmesse hanno rischiato di compromettere alcuni delicati equilibri e il primo a rendersene conto è stato proprio il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu.
La svolta si è avuta con il passaggio di consegne alla guida del Mossad tra il vecchio direttore, Tamir Pardo, e il nuovo direttore Yossi Cohen. Rispetto a Pardo il nuovo direttore del Mossad ha voluto ridare forza alla componente umana, cioè agli agenti sul terreno, agli infiltrati, ai collaboratori locali e alle fonti di informazioni esterne. Certo, il tutto supportato dalla tecnologia e da tutti quei mezzi che proprio la tecnologia mette a disposizione degli agenti, ma appunto come supporto e non come principale strumento di intelligence.
E’ un ritorno all’antico che sin da subito ha dato i suoi frutti con importanti operazioni contro Hezbollah in Siria e contro Hamas nella Striscia di Gaza. Un esempio eclatante e recente è quanto successo due giorni fa quando dalla Striscia di Gaza è stato lanciato un missile verso Israele. La risposta è stata immediata e devastante a differenza di quanto succedeva in passato quando spesso si aspettavano ore o giorni per rispondere. I caccia israeliani non hanno colpito obiettivi secondari o dubbi, hanno colpito al cuore di Hamas con estrema decisione distruggendo importanti depositi di armi e materiali, obiettivi individuati nelle scorse settimane dal Mossad che hanno mandato nel panico Hamas tanto che i terroristi si sono affrettati a dichiarare di non volere una escalation con Israele. E’ vero, su questo pesa anche la nuova linea imposta dal Ministro della Difesa, Avidgor Lieberman, che prevede una immediata, forte e chirurgica risposta, ma la linea di Lieberman è fattibile solo se si hanno a disposizioni informazioni precise e dettagliate degli obiettivi da colpire e questo può avvenire solo se si dispone di agenti sul terreno. Non basta distruggere una batteria di lancio missili, serve distruggere tutto quello che la alimenta. Tamir Pardo si era accorto di questo “deficit” ma la vera svolta è arrivata con Yossi Cohen che ha potenziato le risorse umane del Mossad riportandole quasi ai numeri di qualche anno fa moltiplicando così le missioni.
Il fronte caldo con Iran ed Hezbollah
Il vero fronte su cui si gioca il futuro di Israele non è però quello con Hamas ma è quello con l’Iran e con Hezbollah. Ed è su questo fronte che il Mossad indirizza la maggioranza delle sue risorse. L’obiettivo principale è quello di impedire che Hezbollah entri in possesso di altre armi avanzate e di monitorare lo spostamento delle truppe iraniane in Siria che si stanno avvicinando sempre più pericolosamente ai confini con Israele. Gli iraniani e gli Hezbollah sanno benissimo che la tecnologia israeliana è molto più avanzata della loro e per questo per primi sono tornati all’antico affidandosi a vecchi mezzi di comunicazione e di infiltrazione difficilmente individuabili con le moderne tecnologie. Da qui la necessità anche per il Mossad di tornare al “vecchio” concetto di intelligence affidandosi principalmente alle risorse umane e non solo a quelle tecnologiche. E i primi risultati non hanno tardato ad arrivare con alcune importanti operazioni preventive in Siria e in Libano che sono potute avvenire solo grazie alla rete messa in piedi (o ripristinata) sul terreno dal Mossad.
Il gioco è cambiato e anche il Mossad ha dovuto adeguarsi tornando all’antico, privilegiando orecchi e occhi umani a quelli artificiali. Forse c’è meno immediatezza ma l’accuratezza delle informazioni e la prevenzione delle azioni dei nemici è garantita.
Scritto da Maurizia De Groot Vos