Chi, come il sottoscritto e l’organizzazione che guido, si era opposto all’accordo sul nucleare iraniano (JCPO) non può non ricordare il mantra di chi invece, come Barack Obama, volle quell’accordo a tutti i costi: «meglio un cattivo accordo che nessun accordo».
Oggi quel mantra così distruttivo che pensavamo di esserci messo alle spalle è tornato “alla moda” di nuovo con una amministrazione democratica ed è presumibile che, se dovesse vincere Kamala Harris, rimarrà anche per i prossimi quattro anni.
Nella fattispecie, «meglio un cattivo accordo che nessun accordo» viene usato anche in queste ore da chi vorrebbe, per mere ragioni politiche, che Israele chiudesse un accorso sugli ostaggi con Hamas a qualsiasi costo. Anche a costo di permettere al gruppo terrorista islamico di sopravvivere e di ricostituirsi in breve tempo quando invece oggi è alla canna del gas.
Il punto di discussione è sempre il fantomatico “corridoio Filadelfia”, quella striscia di terra cioè che si trova al confine tra Gaza e l’Egitto da dove negli ultimi anni sono passati milioni di quintali di cemento, armi di ogni tipo, missili e persino veicoli.
Il Premier israeliano Benjamin Netanyahu vuole, molto giustamente, che rimanga sotto controllo israeliano anche per impedire ai “poco innocenti” egiziani di continuare a chiudere gli occhi (pagati) sull’immenso mercato di cemento e armi acquistate in Iran con i soldi del Qatar. Egitto e Qatar, guarda caso i due “negoziatori neutrali” che più spingono per il cattivo accordo.
Hamas invece vuole che il corridoio Filadelfia sia sgombro da forze israeliane così da poter ricominciare tutto da capo per l’ennesima volta, far rinascere il distrutto Hamas e riprendere, armi in mano, il controllo della Striscia.
Non è agevole per Netanyahu portare avanti la sua linea perché trova ostacoli anche all’interno del suo entourage. Il ministro della Difesa Yoav Galant, il capo del Mossad David Barnea, il capo dello Shin Bet Ronan Bar e altri negoziatori come il maggiore generale (in pensione) Nitzan Alon, ritengono che si potrebbe fare qualche concessione in quanto l’IDF potrebbe riprendere il controllo del Corridoio Filadelfia in ogni momento. Teoria non proprio condivisa dai militari.
Poi ci sono le pressioni americane. Kamala Harris ha bisogno di un accordo di cessate il fuoco a Gaza come dell’aria che respira. Deve convincere milioni di musulmani americani a darle il voto. Quindi preme con ogni mezzo disponibile, tramite l’Amministrazione Biden, affinché Israele accetti anche un cattivo accordo.
Infine c’è sempre la spada di Damocle dell’annunciato attacco coordinato di Iran ed Hezbollah, anche se ultimamente sembra che gli Ayatollah vogliano mandare avanti i terroristi libanesi per non incorrere in una sonora punizione sul loro territorio.
Il capo di Hamas, Yahya Sinwar, tergiversa sull’accordo proprio perché aspetta come minimo un attacco dal Libano da parte di Hezbollah in modo che si apra un importante fronte a nord che obblighi l’IDF a distogliere buona parte delle truppe da Gaza.
Sinwar, che ha capito il bisogno estremo degli americani di chiudere un accordo a tutti i costi, pone condizioni chiaramente inaccettabili per Israele perché sa benissimo che Washington preme su Gerusalemme per quel fantomatico “cattivo accordo” di obamiana memoria piuttosto che nessun accordo.
Paradossalmente, più gli americani premono per un accordo, più Sinwar alza il prezzo e l’accordo si allontana. Solo che ad esserne incolpato è Netanyahu che non fa altro che fare il suo lavoro.