Ieri a Roma il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e il Segretario di Stato americano, John Kerry, si sono incontrati per discutere in merito alla prossima proposta palestinese che presumibilmente verrà presentata nelle prossime ore al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e che prevede il ritiro di Israele entro i confini del 1967 nel tempo massimo di due anni.
Netanyahu ha detto con chiarezza che Israele si opporrà a qualsiasi decisione unilaterale, Kerry come al solito è stato vago sulla posizione americana e su un eventuale possibile veto alla proposta palestinese anche se oggi volerà a Londra per incontrare un delegazione della Lega Araba che si è già detta favorevole alla proposta palestinese (ci mancherebbe altro) e francamente da la netta impressione che l’incontro serva solo a prendere ordini dagli arabi e che quindi gli Stati Uniti siano molto propensi ad astenersi. Spunta anche una proposta francese più “morbida” di quella palestinese che fisserebbe in due anni il termine per raggiungere un accordo ma che non parla di ritiro israeliano. La proposta francese sarebbe supportata anche da Gran Bretagna e Germania.
In questo vortice diplomatico in cui il mondo sembra essere impazzito (ci sono crisi ben più gravi di quella palestinese) e nel quale tutti appaiono elettrizzati, quasi drogati dalla parola “Palestina”, nessuno sembra ricordarsi quale sia il problema principale per raggiungere quello che tutti affermano sia l’obbiettivo principale, cioè due Stati per due popoli che vivano in pace uno accanto all’altro. Quel problema si chiama Hamas e non si può accantonare come se nulla fosse. Sarebbe un po’ come fare i conti senza l’oste.
Che tutti quelli in buona fede mirino alla costruzione di due Stati per due popoli è fuor di dubbio, al limite l’unico vero dubbio è proprio dalla parte palestinese che se avessero veramente voluto costruire un loro Stato lo avrebbero fatto come minimo da vent’anni. Ma parlare di “Palestina” in termini generici senza considerare che attualmente ci sono due “Palestine” è davvero una sottovalutazione imperdonabile. E non chiedersi nemmeno quale Palestina si voglia creare, se cioè si vuole una Palestina sulla falsariga di quella della ANP oppure si vuole uno stato palestinese basato sulla ideologia di Hamas, è ancora peggio perché non denota solo sottovalutazione del rischio ma evidenzia persino una malafede di fondo da parte di chi tratta l’argomento che non può non conoscere il problema e i rischi che esso comporta.
E allora, fatto salvo il concetto dei due Stati per due popoli, come si intende arrivare a questa soluzione? Di certo la strada intrapresa da Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen) è sbagliata proprio perché non considera il problema principale, cioè Hamas. Eppure i palestinesi ci sono già passati con il ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza. Quello che doveva essere un caposaldo degli accordi di Oslo e quindi della creazione di due Stati è diventato il trampolino di lancio del califfato di Hamas basato sul terrore, sulla prevaricazione del Diritto e sull’obbiettivo della distruzione di Israele. Ed è fortemente probabile che quanto accaduto a Gaza si ripeta in Cisgiordania.
Non si può non saperlo, per questo parlo di “malafede” da parte di chi tratta. Ho l’impressione che l’obbiettivo finale non sia la creazione di uno Stato palestinese che viva in pace accanto a quello israeliano, ma il compimento dell’obbiettivo di Hamas, cioè la creazione di un califfato islamico e la distruzione di Israele. Che poi Mahmoud Abbas sia solo un mezzo inconsapevole di questo disegno o ne sia consapevolmente partecipe è solo un dettaglio irrilevante. Quello di cui non mi capacito è la cecità della comunità internazionale che queste cose non le può non sapere e considerare.
Quindi di cosa stiamo parlando quando parliamo di Palestina? Di cosa parla la comunità internazionale quando parla di Palestina? Cosa intende con quel termine? Una Palestina pacifica oppure una Palestina nelle mani degli assassini di Hamas? C’è qualcuno che se lo è chiesto?
[glyphicon type=”user”] Scritto da Miriam Bolaffi
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