Nel giro di pochi giorni gli Stati Uniti dovrebbero consegnare all’Ucraina il primo lotto delle controverse munizioni all’uranio impoverito.
Secondo un documento visionato dalla Reuters e confermato da anonimi funzionari americani, le munizioni rivestite da uranio impoverito e quindi altamente perforanti, sarebbero comprese nel prossimo lotto di aiuti militari degli Stati Uniti all’Ucraina.
Secondo le stesse fonti, insieme alle munizioni all’uranio impoverito verrebbero consegnati all’Ucraina anche i primi carri armati americani Abrams. Totale dell’operazione, tra i 240 e i 375 milioni di dollari.
Anche se la Gran Bretagna ha inviato munizioni all’uranio impoverito all’Ucraina all’inizio di quest’anno, questa sarebbe la prima spedizione statunitense di munizioni di questo tipo e probabilmente non mancherà di suscitare polemiche.
Quella di consegnare munizioni all’uranio impoverito fa seguito a una precedente decisione dell’amministrazione Biden di fornire munizioni a grappolo all’Ucraina, nonostante le preoccupazioni per i pericoli che tali armi rappresentano per i civili.
L’uso di munizioni all’uranio impoverito è stato oggetto di accesi dibattiti, con oppositori come la Coalizione internazionale per la messa al bando delle armi all’uranio che affermano che ci sono pericolosi rischi per la salute derivanti dall’ingestione o dall’inalazione di polvere di uranio impoverito, inclusi tumori e difetti congeniti.
Sottoprodotto dell’arricchimento dell’uranio, l’uranio impoverito viene utilizzato per le munizioni perché la sua densità estrema conferisce ai proiettili la capacità di penetrare facilmente nelle corazze e di autoinfiammarsi in una nube incandescente di polvere e metallo.
Sebbene l’uranio impoverito sia radioattivo, lo è notevolmente meno dell’uranio naturale, anche se le particelle possano persistere per un tempo considerevole.
Gli Stati Uniti hanno utilizzato munizioni all’uranio impoverito in massicce quantità nelle guerre del Golfo del 1990 e nel 2003 e nei bombardamenti NATO sull’ex Jugoslavia nel 1999.
L’organismo di vigilanza sul nucleare delle Nazioni Unite, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, afferma che gli studi condotti nell’ex Jugoslavia, in Kuwait, Iraq e Libano “hanno indicato che l’esistenza di residui di uranio impoverito dispersi nell’ambiente non costituisce un pericolo radiologico per la popolazione delle regioni colpite”.
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