Imporre regole al web? E’ quanto propone il Presidente della Camera, Laura Boldrini, dopo che è stata fatta oggetto di articoli diffamatori, offensivi e, dice lei, minacciosi. Tuona subito Grillo il quale afferma che “il potere è contro la rete” e che le lagnanze della Boldrini sono inutili in quanto i reati commessi in rete, in quanto tali, sono già perseguiti per legge.
In realtà la cosa non poi così semplice. Lo avrebbe dovuto capire proprio lo stesso Grillo quando nei giorni scorsi un gruppo di hacker ha violato gli account di posta elettronica di diversi deputati del M5S e ha messo online le loro email senza che nessuno sia riuscito a bloccare il sito da dove si potevano scaricare. Lo abbiamo visto e lo vediamo con alcuni siti chiaramente antisemiti che incitano all’odio e che nessuna denuncia può far chiudere. Lo stesso dicasi per molti social network sui quali circola praticamente di tutto.
Il problema sta nel trovare una formula che se da un lato permetta di bloccare quei siti che diffondono odio, diffamano e addirittura minacciano, dall’altro non applichi una censura alla sacrosanta libertà di opinione. Il confine tra le due linee è molto flebile. Ad aggiungere altre difficoltà ci sono poi le locazioni dei server. Possiamo anche fare una legge applicabile in Italia, ma se il server è localizzato in un altro Paese o addirittura in uno di quei Paesi considerati “oasi del web” farli chiudere o bloccarli sarà quasi impossibile. Qualche Stato blocca i DSN dei server in oggetto (pensiamo alla Cina o all’Iran, solo per fare due esempi) ma anche quel sistema è facilmente aggirabile con un semplice software.
Il problema sollevato dalla Boldrini, un problema che c’è nonostante quello che dica Grillo, non è quindi di carattere nazionale ma è globale. Fare leggi stringenti in Italia serve a ben poco. Se voglio aprire un sito antisemita, razzista, nazista, brigatista o di qualsiasi tipo illegale in Italia, mi basta comprare uno spazio web in uno di quei Paesi che mi permetterlo di farlo oppure appoggiarmi ad una piattaforma libera da censure, iniziare a pubblicare come se fossi in Italia e il gioco è fatto, il tutto nel perfetto anonimato.
Come fare allora per regolamentare il web in modo che realmente chi commette un reato venga effettivamente perseguito? L’unica cosa che si può fare è andare oltre le legislazioni nazionali e appoggiarsi all’unico organismo internazionale in grado di imporre regole a livello globale: l’ONU.
Solo che non è così facile. Il rischio che si corre è che per bloccare chi effettivamente commette un reato si finisca per intaccare la libertà di opinione e di stampa. Sono anni che gli esperti del palazzo di Vetro studiano una soluzione fattibile per mettere fine alla sostanziale anarchia esistente in rete, ma ogni volta finiscono contro un muro di veti incrociati. Qualche Stato, pochi, si è dato delle regole ma come abbiamo visto sono facilmente superabili. Qualcuno propone di equiparare il web alla stampa, ma anche in quel caso c’è stata una levata di scudi. Altri propongono di responsabilizzare i gestori dei server sui contenuti diffusi sulle loro piattaforme, ma anche in quel caso è praticamente impossibile pretendere che gli hosting controllino tutto quello che viene pubblicato sui loro server.
Come si vede quindi è facile dire “regolamentiamo il web” ma è difficile metterlo in pratica. Per il momento l’unica cosa da fare è affidarsi al buon senso di chi pubblica e dispone di uno spazio web, creare una legge internazionale (partendo eventualmente da una norma a livello europeo) che blocchi e persegua chi commette reati online (dalla diffamazione all’istigazione all’odio razziale passando per le truffe informatiche) anche con il blocco continentale dei DNS relativi ai server incriminati. Sarebbe già un bel passo avanti. E poi responsabilizzare gli hosting senza pretendere da loro un controllo diretto su quanto pubblicato sui loro server, ma che agiscano dietro segnalazione per bloccare chi eventualmente commette un reato. Piccoli passi verso una regolamentazione del web che non intacchi però il sacrosanto Diritto della libertà di opinione.
Voglio chiudere con una piccola critica alla magistratura italiana e ai media: la Boldrini ha subito un attacco personale via web di cui poco si sa (immaginiamo qualche post al vetriolo e qualche vignetta) e in men che non si dica la magistratura è intervenuta agendo sui gestori delle piattaforme incriminate mentre i media ne hanno dato ampio risalto. Il Movimento 5 Stelle, che come sapete non ci è simpatico, ha subito un attacco gravissimo con la violazione di caselle di posta elettronica personali e la loro successiva pubblicazione, ma nessuno fino ad ora ha fatto nulla. Mi piacerebbe sapere perché.
Bianca B.