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Come sempre il Medio Oriente non è mai come appare, non è mai quello che pensi che sia. Khaled Mashaal va a Gaza e fa dichiarazioni molto forti contro Israele? Non c’è problema, fa parte del gioco delle parti, l’importante è che una volta tornato al Cairo si rimetta a sedere e continui a trattare con Israele.

E sembra essere proprio questo quello che sta accadendo nel sottobosco cairota, lontano dalle luci della ribalta e, soprattutto, lontano dalle interferenze iraniane. Israele e Hamas stanno trattando con la mediazione dell’Egitto.

Ma su cosa stanno trattando? Secondo l’ex direttore del Mossad, Efraim Halevy, funzionari israeliani sarebbero stabilmente al Cairo con il compito di raggiungere un accordo con Hamas che preveda l’eliminazione di molte restrizioni per la Striscia di Gaza in cambio di garanzie certe e verificabili che impediscano il riarmo di Hamas e delle altre organizzazioni terroristiche.

Un fatto è certo, da quando è stata dichiarata la fine dell’operazione “Pillar of Defense” tutte le parti hanno rispettato gli impegni di cessate il fuoco. Lo stesso Khaled Mashaal è potuto andare a Gaza grazie alla autorizzazione israeliana ed egiziana, autorizzazione che per esempio è stata negata (dall’Egitto) al Ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salahi, che voleva recarsi in visita a Gaza.

Secondo Efraim Halevy è in atto un cambiamento della politica israeliana nei confronti di Hamas e dello stesso gruppo terrorista nei confronti di Israele. Per la prima volta nella storia dei controversi rapporti tra Israele ed Hamas l’accordo di cessate il fuoco che ha posto fine alle ostilità di “Pillar of Defense” è stato messo nero su bianco, cioè è stato scritto, il che implica, checché se ne dica, un esplicito riconoscimento reciproco. Non solo, in quell’accordo è Hamas ad impegnarsi a mettere un freno alla Jihad Islamica e agli altri gruppi presenti a Gaza e a prodigarsi nei controlli finalizzati a impedire nuovi attacchi a Israele e in particolare al Sud dello Stato Ebraico, un controllo che fino ad oggi è stato efficace visto che dalla fine delle ostilità nessun missile è stato sparato su Israele dalla Striscia di Gaza.

Detto così sembrerebbe tutto bello e semplice. In effetti non lo è affatto, prima di tutto perché non si cancellano anni e anni di odio in pochi giorni, poi perché oltre ad Hamas c’è da fare i conti con i gruppi filo-iraniani e, infine, perché la politica egiziana è tutt’altro che trasparente, specie nei confronti di Teheran (qui un esempio). Tuttavia già il fatto che Israele ed Hamas inizino a parlarsi è di per se una notizia positiva.

Personalmente ho l’impressione che in Israele si stia veramente pensando di cambiare l’interlocutore principale con gli arabi, un interlocutore che fino ad oggi è stato l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ma che ha dimostrato come  in tanti anni di sotterfugi e trucchetti non sia stato possibile raggiungere un minimo di accordo. E se qualcuno dovesse pensare che Abu Mazen sia migliore o più “moderato” di Khaled Mashaal farebbe meglio a rivedere il proprio giudizio. Abu Mazen è solo più furbo e perfido di Mashaal. Per il resto entrambi fino ad ora sono da considerarsi estremisti, quindi non è che se Israele decidesse di puntare su Khaled Mashaal invece che su Abu Mazen (viste anche le ultime iniziative) farebbe una cosa tanto sbagliata. Per il momento (e sottolineo, per il momento) trattare con Mashaal ha portato a un discreto periodo di tranquillità nel Sud di Israele. E in Medio Oriente, più che in altre parti, contano i fatti e non le apparenze.

Noemi Cabitza