Sarebbe molto bello che il capo di una grande nazione democratica faccia dei Diritti Umani una sua priorità, anzi, che li ponga davanti a qualsiasi interesse nazionale. Sarebbe bello ma non è realisticamente possibile, è una utopia irrealizzabile.
Questo i grandi media lo sanno benissimo, non c’è bisogno di ricordarlo agli editorialisti dei grandi giornali quali il New York Times, il Washington Post, Politico e altri.
Quando fanno finta di non ricordarlo o semplicemente passano sopra a questa verità, nella maggioranza dei casi è perché usano il loro mestiere e l’autorevolezza delle loro testate per fare politica, spesso in maniera ipocrita.
Intendiamoci, è sempre successo che i giornali e i media siano politicamente schierati, nemmeno questa è una novità, ma ci sono casi che superano il limite della decenza come per esempio quello relativo all’omicidio di Jamal Khashoggi, il politico e “giornalista” saudita sostenitore della Fratellanza Musulmana ucciso brutalmente all’interno del consolato di Riad a Istanbul, in Turchia, sembra su ordine del Principe ereditario Mohammad bin Salman.
Sin dal primo momento il caso di Jamal Khashoggi è stato usato per cercare di danneggiare le relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita. Lo ha fatto soprattutto il turco Erdogan ottenendo immediatamente il supporto di due colossi dei media americani quali il New York Times e il Washington Post dove tra le altre cose Khashoggi scriveva i suoi articoli a favore della Fratellanza Musulmana e contro il regime saudita e dove è stato pubblicato (post mortem) il suo ultimo articolo.
Oggi proprio il Washington Post dovrebbe pubblicare una intera pagina dedicata all’omicidio del politico saudita attraverso la quale l’editore Fred Ryan intende focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale (non solo americana) sull’inopportuno (secondo lui) sostegno della Amministrazione Trump all’Arabia Saudita e sul fatto che il Presidente Trump cerchi di “mettere il caso Khashoggi sotto il tappeto”.
Nelle intenzioni di Fred Ryan questa pagina dovrebbe dare il via a una campagna che durerà per tutto il 2019 volta a spiegare come il sostegno americano al regime saudita sia sbagliato e violi i principi costitutivi degli Stati Uniti.
Allora, fondamentalmente il ragionamento dell’editore del Washington Post non fa una grinza. Il regime saudita è senza dubbio uno dei peggiori regimi islamici del mondo. Solo che in questo momento il ruolo che svolge (o che dovrebbe svolgere) l’Arabia Saudita in Medio Oriente è fondamentale per gli interessi americani e per il piano politico che Donald Trump ha pensato per la regione.
Donald Trump non è il primo Presidente americano (e non sarà l’ultimo) che sorvola sui Diritti Umani per ragioni politiche o per un piano politico.
Prima di lui lo ha fatto Barack Obama quando, tra le altre cose, ha chiesto all’FBI di affossare una importante indagine su Hezbollah per non mettere a rischio l’accordo sul nucleare iraniano.
Eppure nessuno si è scandalizzato più di tanto per l’appoggio di Obama all’Iran, un altro dei peggiori regimi islamici del mondo, proprio perché (come si diceva prima) quando c’è di mezzo l’interesse nazionale o una precisa linea politica i Diritti Umani passano in secondo piano.
E’ così ovunque. Per guardare dalle nostre parti basta guardare al caso di Giulio Regeni, barbaramente torturato e ucciso probabilmente dai servizi segreti egiziani.
Sono in tanti a chiedere all’Italia di interrompere le relazioni diplomatiche con l’Egitto che però è un attore fondamentale per risolvere la crisi in Libia e aiutare così proprio l’Italia. Cosa fare allora? Mettere gli interessi nazionali davanti ai Diritti Umani oppure tirare dritto e buttare tutto all’aria per ottenere giustizia per Giulio Regeni?
Anche in questo caso c’è stata una certa stampa che pur conoscendo perfettamente le dinamiche che regolano il rapporto tra interesse nazionale e Diritti Umani ha cercato di usare la questione per motivi politici più che per difendere realmente il Diritto della famiglia Regeni di ottenere giustizia.
Gli attentati in Israele, questi sconosciuti. Il tabù dell’Islam sugli attentati in Europa
C’è un altro modo con il quale la “grande stampa” condiziona l’opinione pubblica: il silenzio. Non parlare di certi fatti o non parlarne con chiarezza condiziona terribilmente l’idea che la gente si fa di certe questioni.
Prendiamo per esempio gli ultimi due gravissimi attentati avvenuti in Israele. Il primo è avvenuto la settimana scorsa, il secondo solo ieri (con in mezzo un terzo meno grave). Qualcuno ha visto o letto qualcosa a riguardo sui media occidentali? Se di una cosa non ne parli non è mai avvenuta e questo i “grandi editorialisti” lo sanno benissimo, ne sono coscienti e usano il loro silenzio o al contrario la loro ridondanza per fini politici.
Silenzio è anche omettere dettagli e parole importanti. Prendiamo l’attentato di Bruxelles, qualcuno ha visto scritto da qualche parte la parola “terrorista islamico” quando si parlava dell’autore dell’attacco? Scrivere qualsiasi riferimento all’islam sembra quasi un tabù.
Ora, come ho già detto l’idea di difendere i Diritti Umani è molto nobile se fosse perseguita sempre. Purtroppo non è così. Troppo spesso la difesa dei Diritti Umani viene usata dalla stampa per fini politici, per promuovere quella o quell’altra idea o linea politica.
Nessuno ne è esente, nemmeno noi di RR nel nostro piccolissimo. Bisognerebbe aprire una seria riflessione su questo fenomeno che con l’avvento delle nuove tecnologie è diventato sempre più di vitale importanza per la politica e per condizionare l’opinione pubblica.